L’intervista – Nando Dalla Chiesa: “Mi era stato chiesto di candidarmi sindaco”

nando dalla chiesa

BRINDISI – Scrittore, sociologo, politico italiano, Nando dalla Chiesa, figlio del Generale Carlo Alberto dalla Chiesa, ucciso in un agguato mafioso assieme alla moglie nel settembre 1982, conosce alla perfezione la città di Brindisi, in virtù anche della sua storica ed inossidabile amicizia con il professor Nando Benigno, presidente della Scuola di Formazione “Antonino Caponnetto”.

E, quindi, chi meglio di un occhio così attento, critico ed esperto, ma avulso dalla ‘brindisinità’, può ‘fotografare’ la situazione della criminalità che, a Brindisi, si chiama Sacra Corona Unita, se non proprio quello di Nando dalla Chiesa?

Nando Dalla Chiesa è da sempre sostenitore della tesi secondo cui i personaggi in seno alla mafia non si palesano più con coppola e lupara, come avveniva ai tempi ‘d’oro’ di Totò Riina, bensì in giacca e cravatta e che magari giocano addirittura in borsa o, perché no, sono anche radicati nel mondo della politica. Possono nascondersi in ogni dove, capaci di privare di ogni libertà e dignità qualsivoglia cittadino. Onestamente, Brindisi non è mai stata una città particolarmente incline alla mafia, salvo che negli ultimi anni. Fino agli anni ’90, Brindisi ‘viveva’ di contrabbando di sigarette e poco più. Ora, invece, il sodalizio della Sacra Corona Unita ha preso sempre più piede, fino a controllare gran parte del territorio brindisino e leccese. Lo scorso febbraio (era il 26, ndr) a Brindisi, sono finiti in manette ben 34 persone affiliate alla SCU, molti dei quali, tanti, giovanissimi. Su questi e su altri cruciali temi abbiamo sentito il dottor Nando dalla Chiesa che ha parlato anche di politica.

L’azzeramento del contrabbando di sigarette a Brindisi, “grazie” al quale vivevano molte famiglie, ha potuto contribuire a nuove affiliazioni alla SCU?

“Non credo, anche perché la Sacra Corona Unita organizzava il contrabbando. Avranno fatto delle altre forme di criminalità. Non è un passaggio automatico questo. Non è che se vengo colpito in un traffico, entro in una organizzazione criminale di livello superiore. Non è mai successo”.

A Brindisi, lo scorso 26 febbraio, c’è stata una retata in cui sono finiti in manette tanti giovanissimi affiliati SCU. Come spiega il fatto che nella realtà brindisina ci sia un notevole confluire di giovani nelle organizzazioni criminali?

Si tratta di organizzazioni criminali minori. Sono tutte criminalità 2.0, in Italia, in questo momento. La ‘ndragheta e la mafia non prendono i ragazzi nei quartieri, la camorra sì, perché ha una organizzazione di livello inferiore alla ‘ndragheta e Cosa Nostra. Quindi, un conto è l’apprendistato duro, militare, dinastico, che chiedono alla ‘ndragheta e Cosa Nostra per “arruolare” i loro giovani, un contro sono le organizzazioni che presentano forme di “reclutamento” più facile e queste, in genere, sono organizzazioni meno strutturate e meno pericolose. Ma questo non vuol dire che non siano violente. Però quando sento parlare di crisi economica e di ragazzi che entrano facilmente, penso che sia una organizzazione ‘generosa’, che non ha le sue strutture.

In una conferenza stampa a Milano, lei ha affermato che bisogna conoscere il nemico per combatterlo. In che modo lo si può conoscere e combattere?

Studiandolo. Innanzitutto, ci sono i dati delle ordinanze di custodia cautelare e delle sentenze. Poi, ci sono le relazioni della direzione distrettuale antimafia del posto, oppure della direzione nazionale antimafia o della direzione investigativa antimafia. Poi, ci sono i libri ed i rapporti anche di tipo istituzionali, non investigativi, non giudiziari, cioè atti di commissioni antimafia di consigli comunali o di consigli regionali. Ci sono anche ricerche di tipo universitario ed articoli ben fatti della stampa specializzata. Ad esempio, su Reggio Emilia, prima dei processi, c’era stata l’attenta documentazione di un gruppo che si chiama ‘Cortocircuito’, di studenti delle medie superiori di Reggio Emilia. C’è molto materiale che si può utilizzare”.

Nel 2012, subito dopo l’attentato alla “Morvillo Falcone” in cui perse la vita la giovanissima Melissa Bassi a Brindisi, lei, durante una trasmissione televisiva, ebbe un battibecco con l’ormai ex sindaco di Brindisi Mimmo Consales, il quale negava che a Brindisi ci fosse la criminalità.

Spesso, la negazione della presenza della mafia è dovuta ad interessi inconfessabili. Cioè, nego in radice che esista un problema per non dover affrontare, poi, la questione più importante, cioè che rapporti intrattenga la politica con queste organizzazioni mafiose. E’ chiaro, se l’organizzazione non c’è, i rapporti non ci sono.

Mesi fa, agli inizi dell’ultima campagna elettorale per le amministrative, le fu proposto di candidarsi a sindaco di Brindisi. Come mai non ha accettato e, soprattutto, come mai questa richiesta, visto e considerato che lei non è neppure di Brindisi, anche se conosce bene la città?

Non ci ho neanche pensato. Sono quelle cose che ogni tanto vengono in mente, ma non credo che fosse un progetto vero. Mi fu soltanto fatta intravedere la possibilità. Ho un rapporto con l’Università di Milano e non ci ho rinunciato nemmeno per Milano.

Lei conosce bene la città di Brindisi, dunque. Com’era ieri e com’è oggi?

Penso che rispetto a ieri c’è una attività, appunto, di studio, di analisi, di mobilitazione sui temi della criminalità organizzata, che è molto più elevata. Quindi, una città più attenta, più partecipe anche dal punto di vista istituzionale. Almeno le istituzioni dello Stato sembrano più consapevoli di quello che c’è. E’ una città in cui può riprendere fiato una criminalità organizzata, già solo per la posizione geografica, per tanti rapporti che ci sono in Puglia ed oltre la Puglia. Però, la criminalità che è qui non mi sembra una criminalità in grado di radicarsi durevolmente sui livelli di forza elevati, proprio perché non c’è un retroterra sociale, come in Calabria, in certe aree della Sicilia ed in Campania. Poi, perché qui, ciclicamente, vengono colpiti in modo duro.

Come nasce la sua amicizia con il professor Nando Benigno, presidente dell’associazione Caponnetto, e cosa vi lega così tanto?

Non solo il fatto che ci chiamiamo Nando tutti e due. Con lui sono amico dall’’82, da quando incominciò a lavorare, tra i primi in Italia, sulle scuole e fondò il coordinamento insegnanti e presidi contro la mafia nell’’84. Abbiamo fatto tanto cose insieme. Lo stimo moltissimo, perché in trentaquattro anni di impegno nella lotta contro la mafia, senza mai aver avuto un onore, un riconoscimento formale, esprime tutto il suo disinteresse per queste cose.

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Tommaso Lamarina
Redazione

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