Siamo in prossimità dell’8 marzo, che si celebra sotto la gelida ed incomprensibile cappa dell’ennesimo femminicidio. E mentre un sedicente “marito geloso” sardo ammazza a coltellate una giovane moglie “rea” di non volerlo più, l’Alta Corte Europea per i Diritti Umani condanna le autorità italiane per non aver agito con sufficiente rapidità per proteggere una donna e suo figlio dagli atti di violenza domestica perpetrati dal marito, consentendo che l’odio, la prevaricazione e la violenza vincessero ancora una volta.

Ormai sembra che parlare di diritti civili sia un lusso che l’Italia non può permettersi, quasi ci fosse un istintivo moto di atavica rassegnazione verso le questioni relative ai diritti delle minoranze e delle donne in particolare.

Si sta facendo strada la pericolosa tendenza a considerare la difesa dei diritti civili una questione da Paesi ricchi, nei quali ovviamente l’Italia non è annoverata, visti i tanti problemi che ci affliggono: il lavoro che non c’è, la ripresa economica che tarda ad arrivare, il debito pubblico che è fuori controllo.




Insomma, siamo poveri e dobbiamo pensare a cose più serie che la tutela dei diritti civili!

In questa settimana di avvicinamento all’8 marzo, il quotidiano nazionale La Stampa ha pubblicato una ricerca da cui emerge un quadro difficile per le donne italiane: pagate meno, sovra-istruite rispetto alle occupazioni, sempre più sole nella gestione del welfare familiare.

E questo cosa altro è, se non un segno di povertà profonda?

In questi anni di crisi, l’occupazione femminile ha retto meglio di quella maschile, ma si è trattato di una diminuzione delle disuguaglianze al ribasso, determinata non dalla crescita dell’occupazione femminile, ma dalla decrescita di quella maschile.

È cresciuto il part time involontario, non come strumento di conciliazione dei tempi di vita, ma come strumento di flessibilità più funzionale alle necessità delle imprese.

In Italia denunciamo una quota di part time involontario doppia rispetto all’Europa (60%), che vede le donne protagoniste in professioni non qualificate soprattutto nel terziario, alberghi e ristorazione in prima fila.

Le donne, più degli uomini, sperimentano quindi la precarietà con la conseguenza di più basse retribuzioni ed instabilità economica.




Negli anni della crisi è aumentata anche la quota di occupate sovra-istruite, di donne che lavorano in professioni non adeguate al titolo di studio conseguito. Sono diminuite le professioni tecniche e aumentate quelle non qualificate.

Basti pensare che l’unico settore che ha visto un segno di crescita occupazionale durante la crisi è stato quello dei servizi alle famiglie, perché – di fronte di bisogni di assistenza di anziani non autosufficienti, diventati sempre più incomprimibili con il progressivo processo di invecchiamento demografico – le famiglie preferiscono tagliare su altre spese piuttosto che privarsi di un supporto fondamentale.

In conclusione: viva l’8 marzo, Festa della Donna. Ma non dimentichiamo che è urgente mettere mano ad un quadro difficile per le donne italiane che sono pagate meno, sovra-istruite rispetto alle occupazioni, sempre più sole nella gestione del welfare familiare.

Perché le sfide quotidiane non si fermano davanti alla crisi economica: le sofferenze continuano, le donne si arrabattano sempre di più per riempire i vuoti lasciati dalla politica, alle loro difficoltà quotidiane si aggiunge quel senso di solitudine, che non è quello di chi non è accudito, ma è tipico di chi non è ascoltato.

Ma questo sembra che sia un fatto abbastanza comune nei Paesi poveri!

www.pinomarchionna.it




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1 COMMENTO

  1. Chiedo scusa ma usare il logo di Non una di meno e poi concludere con “viva l’8 marzo, Festa della Donna” non mi sembra rispettoso. L’8 Marzo sarà per noi una giornata di lotta, non una generica “festa”
    Nemmeno si parla delle iniziative che il movimento sta organizzando!

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