La Città di Brindisi non è “profeta in patria”

Quando ho ricevuto l’invito di Dritan Leli, Sindaco di Valona, a recarmi in quella Città per il 26 marzo, per ritirare il titolo di “Cittadino onorario di Valona”, in occasione della Conferenza sull’immigrazione ed i ponti di cooperazione tra Italia e Albania”, il mio primo pensiero è andato ai miei concittadini brindisini.

E’ vero: siamo un po’ piagnoni, ci lamentiamo sempre e nulla ci va mai bene. Ma questa volta abbiamo tutte le ragioni del mondo. Anche l’Albania, sia pur per mezzo di una simbolica Cittadinanza Onoraria conferita al Sindaco dell’epoca, riconosce a Brindisi e ai suoi abitanti i meriti per una solidarietà di massa la cui eco, a 26 anni di distanza, ancora non si affievolisce.

In tutti questi anni la Città di Brindisi è stata premiata dalle principali organizzazioni umanitarie internazionali come l’Unicef e la Croce Rossa, mentre ancora aspettiamo la risposta per il riconoscimento della Medaglia d’Oro al Valor Civile dello Stato Italiano: si sa, nessuno è profeta in patria!




La lettera che mi ha inviato il Sindaco di Valona illustra chiaramente il sentimento di stima e gratitudine degli albanesi nei nostri confronti per quanto noi tutti facemmo all’epoca per il loro popolo. E’ una lettera importante, che arriva in un momento difficile del dibattito sull’immigrazione, che impatta su un’Europa intimidita e impaurita dalle ondate di profughi che ora si abbattono sulle coste siciliane.

Qualcosa in questi anni è cambiato: oggi l’Italia ha paura! Per questo, la nostra esperienza deve essere rilanciata con forza e convinzione.

Io me lo ricordo bene l’esercito spontaneo, fatto di uomini, donne e ragazzi brindisini, che scese in campo autonomamente, senza attendere il beneplacito da parte di nessuna autorità.

I cittadini di Brindisi nel 1991 indicarono al mondo intero una modalità con cui poteva essere affrontato il nuovo spettro che si aggirava in quegli anni per l’Europa: quello del crollo dei regimi comunisti e dell’incubo delle migrazioni di massa da est verso ovest.

In quei drammatici giorni il mondo venne a Brindisi: ricordo interviste rilasciate a tutte le televisioni europee e a quelle americane, canadesi, messicane, giapponesi, filippine.

Nei mesi successivi fui invitato in tutti i principali convegni europei sulle migrazioni internazionali, nel ruolo di testimone oculare del più grande esodo di massa sino a quel momento verificatosi nella vecchia cara Europa, terrorizzata dalla previsione di una nuova “calata dei barbari”.

Ecco perché ricordare oggi quello che accadde a Brindisi può offrire lo spunto per riflettere sulle motivazioni e sulle modalità dei nuovi flussi migratori che attraversano il Mediterraneo; per immaginare le risposte che non solo l’Europa e l’Italia, ma soprattutto le regioni meridionali italiane, e la Puglia in particolare, sono chiamate a fornire in termini di solidarietà e di sostegno allo sviluppo di quei Paesi che ormai sono divenuti strategici anche per la definizione delle nostre prospettive di sviluppo.

In ogni caso, un fatto appare già chiaro e incontrovertibile: riusciremo a superare questa nuova prova solo se sapremo riannodare i fili dell’antica comunità mediterranea, in ciò riproponendo con più forza e convinzione la più antica delle vocazioni di questo Paese: quella di guardare al mare e ai mondi che si schiudono al di là del mare.

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