Ritratto triste di un’Italia rassegnata

Il 50° Rapporto Censis sull’Italia (reso pubblico lo scorso venerdì 2 dicembre) fotografa impietosamente i più rilevanti fenomeni sociali che caratterizzano il Paese in questa difficile fase congiunturale, individuando tre processi principali in atto nella società italiana.

Il primo processo testimonia che il Paese – nonostante la crisi – continua a funzionare nella sua dimensione quotidiana giacché:

  1. le imprese continuano a operare nelle tradizionali filiere nelle quali l’Italia eccelle (enogastronomia, lusso e made in Italy, progettazione e fabbricazione di macchinari);
  2. le famiglie continuano a risparmiare e ad accumulare ricchezza (dall’inizio della crisi gli italiani hanno accumulato una liquidità aggiuntiva per 114,3 miliardi di euro, un valore superiore al PIL di un Paese intero come l’Ungheria, mentre la liquidità totale di cui dispongono in contanti o depositi non vincolati ammonta a 818,4 miliardi di euro, pari al valore di una economia che si collocherebbe al quinto posto nella graduatoria del PIL dei Paesi UE);
  3. il territorio continua a essere un fondamentale fattore dello sviluppo, con le città che recuperano il loro storico ruolo di localizzazione manifatturiera.

In secondo luogo, la società italiana riesce a metabolizzare anche i più violenti input esterni, riuscendo a rimuoverli o ad assimilarli. Ne sono dimostrazione il flusso crescente di migranti e la loro faticosa integrazione; il processo di digitalizzazione (che mette in crisi l’intermediazione burocratica del ceto impiegatizio che su questa prassi aveva costruito potere e identità); la faticosa affermazione legislativa e giurisprudenziale dei diritti individuali (unioni civili, riconoscimento dei diritti alla comunità LGBT).

Infine, la comunità nazionale riesce anche a cicatrizzare le ferite più profonde, come quella degli eventi sismici degli ultimi mesi (che portano il rischio di una contrazione dell’economia delle aree interne e la perdita di attrattività dei borghi e dei centri minori); la pericolosa frattura che si va sempre più aprendo tra mondo del potere politico e corpo sociale, che vanno ognuno per proprio conto, con reciproci processi di rancorosa delegittimazione.

In questo «silenzioso andare del tempo», il Paese è entrato in una nuova fase di economia sommersa. Non è più un “sommerso di lavoro” (come quello degli anni ’70 che diede un grande impulso alla produttività nazionale), ma è diventato un “sommerso di redditi” che consiste nella gestione del risparmio in contanti (senza andare più in banca), nelle strategie di valorizzazione del patrimonio immobiliare (appartamenti trasformati in Case Vacanze, B&B, ecc.), nel settore dei servizi alla persona (dalle badanti, alle babysitter, alle lezioni private).

Se il vecchio sommerso pre-industriale apriva la strada ad uno sviluppo imprenditoriale e industriale, questo nuovo sommerso non appare affatto orientato allo sviluppo. Rappresenta solo un’aggregazione magmatica di interessi e di comportamenti che ha come unico obiettivo quello di sopravvivere, anche e soprattutto nell’assenza di strutture portanti politiche o istituzionali.

E’ ormai evidente che è entrato in crisi il ruolo di cerniera delle Istituzioni che è la rappresentazione allegorica del grande distacco tra potere politico e popolo. Il corpo sociale si sente rancorosamente vittima di un sistema di casta, mentre le istituzioni (per crisi della propria consistenza, anche valoriale) non riescono più a «mediare» tra dinamica politica e dinamica sociale, condannandosi ad una progressiva divaricazione di prospettiva.

Si afferma così un contestuale e parallelo «rintanamento in se stessi»: il mondo politico riafferma orgogliosamente il suo primato progettuale e decisionale, mentre il corpo sociale rafforza la sua orgogliosa autonomia ed attitudine a sopravvivere, a prescindere dalla politica e dalle Istituzioni.

E’ il triste ritratto di un’Italia “rentier”, che sopravvive di rendita, che si dimostra incapace di investire nel proprio futuro, che è malata di immobilismo sociale ed è furiosamente sferzata dai venti rancorosi del populismo demagogico.

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