Premetto di non nutrire alcun pregiudizio verso il Movimento 5 Stelle. Anzi, spesso i grillini mi sorprendono e mi divertono con il loro senso “naif” della politica che peraltro decreta spesso il loro successo, visto che proprio questa semplicità li porta intercettare il sentimento dell’opinione pubblica più diffusa e popolare.

Data la rilevanza politica che hanno già assunto (per non parlare di quella che sembrano destinati ad assumere nel prossimo futuro), mi sembra doveroso dedicare qualche riflessione alla loro organizzazione e alle loro iniziative in questa fase finale della campagna elettorale per il Referendum del 4 dicembre.

Al di là dei tanti e affannati comprimari che stanno cercando di ritagliarsi il proprio quarto d’ora di celebrità, è ormai abbastanza chiaro a tutti che il Referendum si decide sostanzialmente sullo scontro tra il PD di stretta osservanza renziana e il Movimento 5 Stelle.

Con il dovuto rispetto che si deve a tutti gli altri, questo mi sembra l’assunto inoppugnabile da cui bisogna partire per capire quello che sta succedendo (e che succederà) nelle ultime settimana di campagna referendaria.

In questo scenario gli attacchi concentrici verso Renzi vanno assumendo man mano contorni nuovi e per certi versi inquietanti, non tanto per la pur scontata la violenza verbale, quanto per il massivo, disinvolto ed inedito utilizzo dello strumento principe del M5S: i social network.

Il paradigma a cui si ispira la cultura politica del M5S è rappresentato da una particolare interpretazione della “democrazia diretta”, imperniata su una visione del cambiamento sociale guidato dalle nuove tecnologie della comunicazione ed organizzato attraverso una griglia orizzontale che rifiuta gerarchie e mediazioni (il famoso ‘uno vale uno’).

Partendo da questa premessa, è abbastanza intuitivo comprendere come i social rappresentino l’arma letale del M5S che, attraverso la pratica del passaparola tra militanti e simpatizzanti, sviluppa interventi all’insegna della logica del «ciò che siamo capaci di rendere virale prima o poi diventa vero agli occhi di chi vogliamo convincere».

Se tenete conto che su Facebook gravitano 22 milioni dei 29 milioni di italiani presenti sui social, vi renderete conto dell’enorme valenza di questa rete di costruzione del consenso.

Del resto, già nel giugno 2013 in una intervista al “Corriere della Sera”, Gianroberto Casaleggio commentando il libro di Steven Johnson “Emergence. The Connected Lives of Ants, Brains, Cities, and Software”, predicava un tema fortemente segnato dall’approccio biologistico che consente di passare dall’organizzazione sociale delle formiche alla realtà del web, sostenendo in sostanza la capacità degli organismi di più basso livello di produrre meccanismi di auto-organizzazione sempre più complessi e sofisticati. E’ quindi nel DNA originario del Movimento che si ritrova la “matrice social” della propaganda politica pentastellata.

Questa sintetica descrizione della struttura organizzativa che consente la trasmissione dei messaggi dal centro alle periferie spiega bene come sia possibile che – nella fase più aspra dello scontro sul Referendum – si propaghi massicciamente una cyber propaganda fatta di tweet e fake spesso completamente inventati, che vengono poi rapidamente diffusi da pagine e gruppi di discussione che fanno da camera di risonanza. In questo schema che somiglia ad un albero a grappoli, i falsi e le calunnie – ovunque generate – si propagano in modo virale, garantendo anonimato e sostanziale impunità.

Probabilmente alla fine quest’arma risulterà vincente, ma vivaddio quanto costerà al Paese?

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