Qualche giorno fa ho letto una bellissima intervista dell’architetto Renzo Piano sul terremoto che sta spaccando in due l’Italia. Ve ne riporto alcuni passaggi molto significativi.

«Purtroppo la terra trema. E la natura non è né buona né cattiva. È semplicemente, e brutalmente, indifferente alle nostre sofferenze. Non se ne cura. Ma noi abbiamo una grande forza, una forza che la stessa natura ci ha dato in dono: l’intelligenza. Parlare di fatalità è fare un torto all’intelletto umano. La storia insegna: ci siamo sempre difesi, con porti, dighe, argini, case e con la medicina. Tocca a noi, al senso di responsabilità, investire la giusta energia nella messa in sicurezza delle nostre case. Che poi siamo noi stessi, perché se cerchi l’uomo trovi sempre una casa. La casa è il luogo della fiducia, il rifugio dalle paure e dalle insicurezze. Molto di più che un semplice riparo dal freddo e dalla pioggia.»

Inutile dire che questi pacati e razionali concetti – intrisi di quella insopprimibile fiducia nella capacità degli esseri umani di dar sempre vita ad un nuovo inizio – è tipica di chi è abituato a fronteggiare ogni emergenza usando il bene supremo dell’intelletto.

Nel suo intervento, Renzo Piano indica una via d’uscita non solo a quella parte d’Italia che oggi sta soffrendo e piangendo la morte dei propri cari, la distruzione della propria esistenza fatta di sacrifici e rinunce, la paura di un futuro incerto e fumoso. Secondo lui «si comincia applicando la scienza della diagnosi, che è precisa, oggettiva, per l’appunto scientifica. Come un bravo medico fa la diagnosi prima di prescrivere una cura o consigliare un’operazione, la diagnosi consente anche nelle case d’intervenire solo dove è necessario. Più la diagnosi è puntuale e meno l’intervento è invasivo e costoso, oggi abbiamo tutti gli strumenti per farlo. […] L’arte del conoscere e del sapere consente la massima efficacia senza accanirsi sugli abitanti, senza doverli allontanare durante il cantiere. Non si deve sradicare la gente da dove ha vissuto, è un atto crudele. C’è un legame indissolubile tra le pietre e le persone che le abitano. La casa è una protezione fisica e mentale, è il luogo del silenzio, tutti, proprio tutti, passiamo la vita a tornare a casa.»

Non ho potuto fare a meno di collegare lo scenario di distruzione materiale creato dal terremoto nel Centro Italia con quello morale che stiamo vivendo in questi giorni a Brindisi: una città in ginocchio, bloccata in ogni sua più minuta fibra in attesa di sapere se – prima o poi – qualcuno si preoccuperà di prendersi cura del suo presente e del suo futuro.

In fondo anche noi siamo terremotati. Ci sono crollati addosso tutti i simboli del nostro essere comunità: il senso di appartenenza, la spinta all’autodeterminazione, la voglia di investire sul futuro se non nostro, almeno dei nostri figli. I giovani vanno via, le mamme e i padri si augurano per i propri figli un futuro roseo lontano da questa Città.

Cos’altro deve accadere per renderci conto del terremoto che ha raso al suolo le nostre coscienze?

Non servono le risibili risposte degli “odiatori da tastiera” e neanche le fantasiose teorie cospirazioniste che immaginano l’esistenza in loco di un gruppo “Bildelberg degli straccioni”.

Serve una diagnosi seria dei punti di crisi della Città, a cominciare dallo stato comatoso del bilancio comunale che è ormai molto oltre il limite del “default”; è necessario fornire risposte serie e credibili a chi rischia di perdere il posto di lavoro, a chi quel posto non lo ha mai avuto e infine anche a quelli che ormai hanno perso anche la speranza; è indispensabile adoperarsi affinché le migliori energie di cui dispone la Città siano messe in condizioni di attivare un percorso di crescita e miglioramento.

Intervenire sui buchi neri dell’economia cittadina (gestione del ciclo dei rifiuti, riequilibrio economico delle partecipate, qualificazione della spesa sociale) rappresenta un itinerario difficile e accidentato, che ha bisogno di diagnosi accurate, di cure appropriate, di conoscenze e saperi che consentano la massima efficacia degli interventi, senza accanirsi sui cittadini.

Già, perché quel Palazzo Municipale è la casa di tutti i brindisini, mica il circolo ricreativo di un gruppo di amici che si ritrovano là per puro caso.

www.pinomarchionna.it

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