Il circolo chiuso, inarrivabile e inaccessibile della moda ha subito negli ultimi anni una trasformazione radicale che ha ammorbidito le sue rigide regole e canoni facendo sì che abbracciasse, invece, un concetto più inclusivo, quello del genderless.
Per decenni, l’industria della moda ha suddiviso il mercato in due settori ben distinti e separati, quello maschile e quello femminile, attribuendo differenze enormi in tutte le sfaccettature e dettagli che un abito può possedere, ovvero colore, taglio, materiale, decorazioni, limitando e azzerando l’identità personale di un individuo e la propria espressione d’immagine. Il genderless rompe questi schemi offrendo capi pensati per chiunque.
Già negli ’60 si inizia a porre una differenza tra il “femminile” e il “gender femminile”: nonostante sia un grande tentativo di precorrere i tempi, questi ideali cercavano già di farsi strada in un’epoca che non era poi all’avanguardia.
La distinzione fra i due, generalmente, è spesso associata agli aspetti biologici che la femminilità comporta a differenza degli aspetti socialmente o culturalmente costruiti attorno al gender femminile. Questi ideali vengono incarnati dalle più spiccate celebrità e artisti di quegli anni impegnati nella lotta contro le convenzioni di genere: primo fra tutti, da fine anni 60 e per tutti gli anni 70, David Bowie e il suo personaggio di Ziggy Stardust, debuttando nei suoi panni nel gennaio 1972.
Dimostrazioni tramite l’arte e la moda da parte di celebrità come Bowie, di certo hanno svolto un ruolo fondamentale per preparare il terreno delle generazioni future, fino ad arrivare, come visto precedentemente, al genderless dei giorni attuali, apportando cambiamento sociali e culturali.
Rimanendo, invece, all’interno delle case di moda e allee presentazioni delle collezioni attraverso le sfilate, l’esempio più lampante è quello di Jacques Esterel, eclettico stilista francese, il quale ha affermato che “Per far couture bisogna avere il coraggio di osare”.
Basti pensare alle sue collezioni e il suo approccio alla moda estremamente avanguardista per comprendere che è riuscito a trasportare questa sua affermazione nella creazione dei suoi abiti introducendo capi jersey unisex e, per la prima volta in assoluto, la gonna da uomo del 1964.
Se in passato un capo come il pantalone era indiscutibilmente realizzato per l’uomo, oggi giorno gli stilisti creano collezioni con l’intento di essere il più inclusivi e genderless possibile.
La casa di moda Maison Margiela, sotto la direzione creativa del visionario John Galliano, nel corso della fashion week di Parigi per la collezione autunno inverno 2018, ha pensato ad una sfilata dove distinguere tra modelli uomini e modelle donne risultava difficile proprio perché l’intento era quello di sottolineare quanto inutile fosse porre una differenza.
A differenza di altri designer, Galliano riesce a portare in passerella l’abito e non l’uomo o la donna con indosso un abito, creando quindi dei capi progettati per essere indossati senza distinzione di genere: il capo, e la giacca da completo in particolare, viene reso intercambiabile. Anche la pelle nuda messa in mostra non è più un elemento prettamente riservato alla donna.
Si può parlare anche di Jean Paul Gaultier, che la stampa ha definito l’enfant terrible della moda, da sempre noto per la sua audacia nell’infrangere cliché e categorizzazioni, è riuscito a creare negli anni 80 una collezione in grado di esaltare il guardaroba di entrambi i sessi, scambiandoli: gonne e crop-top femminili per gli uomini, cappelli da marinaio e in stile militar per le donne, infrangendo ogni tipo di stereotipo sessuale e reinterpretando gli abituali utilizzi dei capi sopracitati.Con la collezione del 1984, infatti, egli ribalta la condizione della donna e la sua considerazione di “oggetto” ponendola, invece, sull’uomo.
Il cammino verso una moda totalmente inclusiva è ancora lungo, ma i progressi sono evidenti: l’educazione alla diversità e l’accettazione dell’individualità stanno diventando valori fondamentali per le nuove generazioni, che rifiutano le imposizioni del passato.
La moda genderless non è solo una rivoluzione stilistica, ma un passo avanti verso un mondo più libero e autentico: questo è presente anche fra gli obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) per il 2030, un insieme di 17 obiettivi globali stabiliti dalle Nazioni Unite nel settembre 2015 dai leader mondiali.
Fra i 17, l’obiettivo numero 5 è quello riguardante la parità di genere, volto però alla garanzia della parità salariale tra uomini e donne per ruoli simili all’interno dell’industria della moda, richiedendo trasparenza nei sistemi di compensazione per eliminare la disparità di genere. I
n un’industria in continua trasformazione, la moda genderless rappresenta una nuova forma di libertà, dimostrando che l’abbigliamento non ha bisogno di etichette, ma solo di espressione, come insegnano le parole di Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci dal 2015 al 2022:
“La moda dovrebbe essere senza genere. Il modo in cui ti vesti è il modo in cui ti senti, il modo in cui vivi, ciò che leggi, le tue scelte”.
Aurora Lezzi