“Il massacro dell’innnocenza”, venerdì 15 dicembre AIFO ed UniTre Ostuni presentano il libro di Franco Colizzi

“Il massacro dell’innnocenza”, venerdì 15 dicembre

AIFO ed UniTre Ostuni presentano il libro di Franco Colizzi

Sarà presentato domani Venerdì 15 Dicembre (inizio alle ore 17,00) presso l’auditorium del Liceo Scientifico di Ostuni (Viale dello Sport) “Il massacro degli innocenti” (Manni Editori) di  Franco Colizzi, scrittore e psichiatra, già presidente nazionale dell’AIFO. Dopo i saluti istituzionali di Lorenzo Cirasino (Presidente UniTre) e dell’architetto Angelo Pomes (sindaco di Ostuni), dialogano con l’autore commentando l’opera il professor Nello Ciraci e don Angelo Ciccarese. Le scene sono curate dalla Compagnia teatrale del Liceo Classico “L’Officina del Sole”, diretta dal professor Alessandro Fiorella.

L’opera. L’incubo ricorrente di un eccidio di bambini amareggia le notti del giovane Gesù, fino a quando scopre della strage degli innocenti ordinata da Erode. In Gesù, il sopravvissuto, l’incubo trapassa in un immenso sogno: annunciare il Regno della nuova innocenza. La sua predicazione però esige che egli stesso venga ucciso. Il sacrificio di Cristo sulla croce basterà a porre termine ai massacri e agli abusi dell’infanzia? Un dramma in tre atti che partendo dalla storia dei Vangeli ci parla dell’oggi.

Riflessioni sul testo di Don Angelo Ciccarese

Confessavo già in un messaggio del primo maggio rivolto a Franco, alcune delle emozioni suscitate in me dalla lettura di questo testo.

L’ho riletto una seconda volta per questo incontro e la forza delle emozioni della prima lettura non si sono affievolite. Chiaramente non mi fermo sulla forma scelta di una impostazione teatrale perché non ho la minima competenza in materia. Qualche parola sui contenuti o, per meglio dire, sul contenuto provo a dirla. Sono consapevole che porto con me il condizionamento del mio bagaglio culturale e della mia vita. Proverò a far emergere il filo conduttore della trama che mi ha appassionato anche perché, man mano che scorrevo il testo dicevo a me stesso: qui c’è tanto di Franco con la sua ansia di ricerca non solo intellettuale, ma operativa sempre alla scoperta di quel mistero grande che è l’uomo a tutte le latitudini del pianeta. E che tu ben conosci.

Mi sembra di poter leggere in profondità una domanda, una denuncia, una prospettiva.

La DOMANDA. E’ l’eterno interrogativo che ci abita ogni volta che un male fisico o morale ci tocca personalmente o come abitanti di questa casa comune che è il mondo e l’umanità. Questa domanda diventa più acuta quando il male non capita per caso, ma è un male prodotto, causato deliberatamente, frutto di scelte spesso immotivate e irrazionali. La domanda raggiunge l’acme quando il male procurato tocca i fanciulli, i deboli, gli indifesi.

Nel testo in esame la domanda prende lo spunto da un fatto raccontato nel Vangelo di Matteo: la strage degli Innocenti.

Chi è tormentato dalla domanda, vivendola spesso come un senso di colpa, anzi come un incubo che lo segue in ogni momento, è lo stesso Gesù, chiamato nel testo con il suo nome in aramaico Yeshuà. E ha bisogno di capire: per questo lo chiede a Giuseppe, il padre putativo, lo chiede a Giovanni Battista.   La risposta la trovano insieme Giovanni e Gesù nell’incontro con un betlemita mutilato di un braccio che rivela ciò che è successo tanti anni prima per mano di Erode il Grande. E’ impressionante la descrizione dell’atto di autocoscienza di Gesù dopo aver conosciuto la verità: “Noi soprattutto ora, non siamo innocenti. Sappiamo cosa è successo a Betlemme. E sappiamo di saperlo”.  La domanda ritorna soprattutto in una intensa e drammatica preghiera al Padre: Gesù si presenta solo con il suo tormento e si trova davanti il silenzio di Dio, il Padre. Gesù è venuto a conoscenza della morte di Giovanni Battista e legge quella morte come il penultimo anello della strage iniziata tanti anni fa. Con dolore confessa: “Resto l’ultimo salvato”. Nel silenzio di Dio e nel tormento della sua coscienza Gesù domanda al Padre quale sarà la sua missione: “Che io annunci il tuo Regno tra lutti crudeli e feroci lotte. Poi versare il mio sangue. Morire … Per tutti?… Come vuoi Tu, Padre”. Sembra che la sua morte debba raccogliere tutte le altre morti, che egli stesso diventi vittima innocente.

Questa intensa ricerca di Gesù assume un carattere di universalità quando una delle madri di Betlemme, dopo aver ricordato le profezie relative al Messia in Isaia, in Michea e in Geremia, come rivolgendosi al solo Gesù avvia un canto alla verità che parte da ciò che è avvenuto per mano di Erode, attraversa il tormento di Gesù e si apre ad una prospettiva più grande, quasi infinita, che avvolge tutto e tutti nello scorrere del tempo, presente e futuro: “La verità ti raggiungerà dall’al di là della coscienza. Ti farà male, soffrirai, ma ti farà libero e convertirai l’amaro in dolce … Sarai tu, per sempre il Cristo che attraversa gli spazi del cosmo. E della verità farai un dono universale” (Pag. 34).

LA DENUNCIA. La sofferenza procurata non è mai casuale. Nasce nel cuore di uomini e donne dominati dal sospetto e dalla paura, dal timore di veder compromessi traguardi raggiunti o fette di potere conquistati, considerati come il massimo traguardo della vita, l’idolo della propria esistenza, l’altare del proprio IO. Ci sono due personaggi che incarnano l’idolatria del potere come bene supremo: Erode il Grande ed Erode Antipa. La scena seconda ha livelli di una drammaticità assoluta. Il testo di Mt recita cosi: “Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: ‘Dov’è colui che è nato, il Re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo’” All’udire questo il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme” (Mt 2,1-3). La seconda scena analizza la portata del “turbamento” registrato nel vangelo e prende le mosse dal momento in cui i Magi non ritornano da Erode e fanno ritorno al loro Paese per un altro itinerario. Erode, presentato in preda a un cancro che lo divora, vive tutti i colori del turbamento indicato sommariamente dal vangelo. Al Gran Consigliere, esprime la sua rabbia per essere stato preso in giro dai magi, rimugina ciò che le Scritture dicono del presunto Messia e prova a banalizzarle, la sola idea che una sola delle profezie possa essere vera lo fa impazzire, il non sapere dove siano andati a finire i Magi dopo la visita lo rende furioso. Al di sopra di ogni sentimento lo divora la paura ossessiva per la possibilità di perdere il trono. Non fa misteri di aver ucciso tre dei suoi figli sospettati di essersi augurati una morte prematura del padre. E giunge alla conclusione: il suo trono, frutto della sua grandeur, deve rimanere al sicuro e l’unica strada per raggiungere lo scopo è quella di togliere di mezzo tutti i bambini appena nati. Per essere ancora più sicuro: tutti i bambini da due anni in giù. Invano il gran consigliere gli fa intravvedere il giudizio pesante della storia futura: Erode il Grande re di un eccidio di innocenti. Non intende ragioni e fa due affermazioni che sono il manifesto universale di quanti lungo i secoli non hanno mai avuto pietà dei bambini: “Ogni bambino può diventare un pericolo per il potere regale, un futuro sobillatore del popolo, un ribelle senza legge … per chi deve regnare, dominare un popolo, nessun bambino, nessuno, nemmeno un figlio, è innocente” (pgg.27-28). Non ho potuto fare a meno di fermarmi: troppo forte il manifesto, ma terribilmente vero. Ho rivisto i forni crematori in funzione, la bambina vietnamita colpita dal napalm, i corpicini abbandonati sui bordi della strada dalla follia dei Kmerr Rossi, i bambini uccisi dalla fame. Oggi le migliaia di bambini rastrellati dalle milizie di Putin, i bambini abusati. Ci sono due manifestazioni della nostra società del benessere che mi fanno più male perchè conosciuti e tollerati: il vergognoso turismo sessuale e la tratta di adulti e bambini usati come mezzi di ricambio per tanti trapianti di organi non troppo clandestini. Un’ultima testimonianza di questi giorni riportata dal Corriere della sera il 14 agosto 2023: “Ai piccoli angeli che tanto presto hanno subito la crudeltà degli uomini”.  E’ la scritta posta sul Monumento eretto a Kharkiv per gli oltre 500 bambini morti dall’inizio della guerra in Ucraina.

LA PROPOSTA. Il racconto è avvincente perché è dolente per il mistero della sofferenza e il massacro degli innocenti, ma apre uno squarcio di speranza per un futuro che è anche il nostro presente. Il percorso ha inizio dopo che Giovanni Battista e Gesù hanno avuto conferma dal Betlemita mutilato della verità dell’eccidio. In una rilettura laica della Istituzione dell’Eucaristia i due fanno memoria del sangue innocente versato “come se fossero qui con noi”. Ma sentono che non basta fare memoria: occorre una missione da svolgere. Nessuno dei due sa con certezza qual è. Ma sullo sfondo c’è una invocazione che nasce dall’Eucaristia: “Possa essere questo il pane della vita eterna. E che nessuno tocchi più, per mano d’uomo, una vita non vissuta” (pag.49). la missione comincia a prendere forma quando nella rievocazione del battesimo, Gesù spiega il battesimo che riceve così: “Purificami, Giovanni, fammi diventare come un Bambino. Fammi entrare in una nuova vita, dammi una nuova innocenza” (pg.52). Questa richiesta assume la forma di un programma di vita, una rilettura dell’annuncio del regno di Dio, anzi il suo nucleo essenziale nella scena successiva. Gli apostoli hanno discusso animatamente chi possa essere tra di loro il primo. Lo sfondo biblico della scena è, mi sembra, l’ultima cena e in parte il momento del giudizio di Gesù davanti a Pilato. Lo scontro tra le ambizioni degli apostoli e la tentazione del potere è troppo forte. Da una parte il potere così com’è e come è desiderato, e dall’altra i segni del regno di Dio. Gesù in questo dialogo rovescia la prospettiva: il potere non è quello della forza che annulla il proprio simile e uccide in vari modi, ma quello degli ultimi, di chi si fa prossimo per essere primi nel regno di Dio. E c’è una visione estatica della presenza dei primi nel Regno: “”Chi accoglie me, in verità, sarà un “primo”. Ma nell’infinito Regno di Dio tutti i “primi” saranno indistinguibili tra di loro, in una eterna fraternità dove ogni potere sarà estinto. Ognuno è un “primo”, perché unico e irripetibile, E come io vi amo, tutti insieme e uno per uno. Amatevi allora, tra “primi” come vi amo io” (pagg58-59). E nella scena successiva Gesù rincara la dose e ricentra sulla innocenza e nell’amore la sintesi del vangelo del regno. Si tratta di una riflessione sulla natura del regno originata dalla presenza chiassosa dei bambini. Gli apostoli li vogliono allontanare. Gesù chiede che stiano con loro e vicini a Lui. Giuda è presentato come il simbolo di chi vuole un regno terreno visibile e forte. Gesù lo delude, come in parte anche gli altri apostoli. Dopo aver ricordato le tante vittime innocenti per mano degli uomini, Gesù rivela qual’è la vera missione del regno di Dio: “In verità, in verità vi ripeto che la loro innocenza è il miracolo da onorare, il tesoro più grande che possano disporre gli uomini sulla Terra, amandosi l’un l’altro come io amo voi. E anche l’unico potere che può rigenerare i poteri perversi, quelli che opprimono, dominano, affamano, uccidono … La liberazione è camminare verso la nuova innocenza”.  (pagg. 68-69) La nuova innocenza! Questo è davvero il centro del vangelo annunziato da Gesù nei vangeli, il fulcro della vita credente: “Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: ”Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino sarà il più grande nel Regno dei cieli” (Mt 18,1-5)

A un dottore delle Legge, Nicodemo, che faceva le rimostranze di fronte a questa prospettiva, Gesù spiegò che non si trattava di rimettere indietro le lancette del tempo. Si tratta di una visione: di sé, del progetto della propria vita, di quella degli altri, del sapore da dare alla storia, alle opere e ai giorni. Convertirsi e diventare. Si tratta di un processo in cui è in ballo la qualità dell’essere persone umane in un mondo che può e deve diventare più umano. Il Salmo 15 così descrive questo processo che abbraccia tutta la vita:

Signore, chi abiterà nella tua tenda?

Chi dimorerà sulla tua santa montagna?

Colui che cammina senza colpa,

pratica la giustizia

e dice la verità che ha nel cuore,

non sparge calunnie con la sua lingua,

non fa danno al suo prossimo

e non lancia insulti al suo vicino.

Ai suoi occhi è spregevole il malvagio,

ma onora chi teme il Signore.

Anche se ha giurato a proprio danno

mantiene la parola;

non presta il suo denaro a usura

e non accetta doni contro l’innocente.

Colui che cammina in questo modo

resterà saldo per sempre.”

L’ultima scena, fatta di poche parole e di gesti carichi di silenzio e di cura verso i bambini vittime innocenti, ha al centro la Madre di Gesù che recita una versione parafrasata del Padre nostro. Poi i bambini scendono dal palco e sciamano tra il pubblico, facendo alzare gli adulti e chiedendo loro con un panno bianco di asciugare simbolicamente il sangue di tanti innocenti in un lungo abbraccio in silenzio. Insieme poi ritornano in mezzo al pubblico per invitare a scambiarsi un segno di pace a piacere. Questa chiusa del testo mi ha dato l’impressione che l’Autore abbia  voluto affidare al lettore e ai presenti dei compiti a casa. Non basta l’emozione scenica. Il percorso interiore di chi crede semplicemente nella bellezza e grandezza della propria umanità e quello di chi cerca di prendere sul serio il vangelo di Gesù si incontrano sulla centralità della innocenza, del diventare piccoli e bambini per scelta. Questo centro possibile della vita e della storia non può esaurirsi nella emozione scenica conclusiva. La vera battaglia non si scioglie in un applauso, ma richiede la lotta giornaliera per seminare segni e gesti possibili, alla nostra portata perché la “nuova innocenza” da sogno diventi possibilità e realtà: “Se tutti facciamo qualcosa, avremo fatto molto” (Beato Martire d. Pino Puglisi)

 

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