Antonio Marco Gallo & friends: l’Ulisse che è in noi – di Gabriele D’Amelj Melodia

Sabato scorso, sul palcoscenico del teatro “ Verdi “, abbattuta la quarta parete, ma anche le quinte e la convenzione della narrazione piana, il “  Teatro delle pietre “ ci ha offerto l’incanto e l’emozione, la realtà tangibile e il sogno. Ci ha fatto respirare il fiato degli attori e il flatus della storia immortale di Ulisse, emblema assoluto del personaggio classico che incarna il mito dell’uomo d’avventura nell’immaginario collettivo di tutte le culture. Lo straordinario lavoro svolto con genialità e mestiere dal prof. Ettore Catalano, al regista Fabrizio Cito, dall’istrionico Antonio Marco Gallo, coadiuvati sia da attori che da tecnici molto puntuali e creativi, ci ha avviluppato in una dimensione spazio temporale sospesa, facendoci sentire parte integrante di una messa in scena originale e coinvolgente, ricca di pathos e di pietas, se pure il climax emozionale veniva volutamente riportato nella sfera della razionalità attraverso artifici tipici del c.d. “ teatro nel teatro”. Interrompeva dunque il suoi fluido e doloroso racconto l’istrione, per domandare al regista, e quindi a noi, se Odisseo fosse stato davvero solo il coraggioso eroe dal “ multiforme ingegno “, o anche un debole e un ingenuo, se egli in certi frangenti, fosse stato davvero felice oppure se avesse avuto in cuore “ il male di vivere “. Domande niente affatto retoriche che ci riportano a quello che Gallo & Friends sanno ma non  hanno voluto dire. Ulisse è astuto ma anche saggio e prudente. Quando incontra Nausicaa “ dalle bianche braccia “  lui, naufrago seminudo, non le si avvicina, ma le parla da lontano, facendole un discorso d’ingegno. Superfluo sottolineare come il figlio di Laerte , malgrado le sue tante pecche ( è ladro, assassino e ingannatore ) o forse a causa anche di queste, è stato figura dominante nell’immaginario poetico, letterario, artistico in ogni epoca. L’eroe che descrive Platone nel mito di Er lascia presagire l’Ulysses antieroe di James Yoice. Ma anche alcuni accenni fatti proprio da Gallo portano dritti all’everyman che è stato Leopold Bloom. Perché nella vita, come nel teatro, non ci sono certezze assolute e il making of è un efficace strumento investigativo che si offre alle menti che vogliono comprendere col cuore ciò che col cuore è stato narrato. Così, sin dall’ inizio del flashback con cui Odisseo/Ulisse narra le sue peripezie ad Alcinoo re dei Feaci,  e poi con l’ausilio di quelle pause di riflessione- tmesi retoriche atte a riportare sul piano logico l’attenzione-emozione dei coreuti che eravamo noi spettatori partecipanti e coinvolti, l’eterno gioco teatrale ci ha condotto per mano a “ patire “ quel personaggio e quelle vicende che abitano il nostro animo, perché fanno parte della stessa natura umana. E le performance attoriali, le suggestive immagini e gli straordinari suoni e le parole scandite nel ritmo solenne della rappresentazione “ sacra “ ( iscritta  cioè nel recinto del mito immortale ) , hanno evocato in noi quel  nucleo indissolubile di memoria e sentimento che va sotto il nome di cultura. Rapiti nell’estasi di una fruizione attiva e partecipe, abbiamo sillabato come in un mantra iniziatico quei versi scolpiti nella pietra e nei cuori “ Il mare color del vino … Circe dai ricciolo d’oro , i dolori, che dopo lungo tempo sono una gioia per chi ricorda tutto ciò che ha passato “. Quelle parole, magistralmente profferite dagli attori, le avremmo volute ascoltare per tutta la notte “ fino all’Aurora lucente “.

 Gabriele D’Amelj Melodia

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