E “Fatta l’Italia, ora facciamo gli italiani”.

Mai come in questi giorni la celebre frase di Camillo Benso Conte di Cavour ben si attaglia alla situazione paradossale che stiamo vivendo. Ad oltre centocinquant’anni dall’unità d’Italia, siamo ancora “la terra dei cento campanili”, a causa di quell’approccio politico che spesso trasforma le differenze in divisioni e mette gli uni contro gli altri, attraverso rivendicazioni territoriali, giurisdizionali, culturali ed economiche proprie del campanilismo.

Da sempre gli italiani si sono dimostrati legati al proprio campanile, per il ruolo simbolico di identificazione che svolge, a tutela del proprio linguaggio, delle proprie tradizioni, della propria storia. E come ricordava lo storico Fernand Braudel “la ricchezza della realtà italiana è anche il segno della sua “insigne debolezza”, giacché la pluralità di tradizioni, di culture e linguaggi, ha sempre costituito un elemento di volubilità rispetto a quel “cemento” sociale che ha caratterizzato la storia di altre grandi nazioni europee”.

Questo tratto distintivo della nostra millenaria ed insufficiente storia nazionale è riapparso – come un fiume carsico, che improvvisamente risbuca in superficie – con il ricorso della Regione Veneto alla Corte Costituzionale avverso la Legge Delega 124/2015, meglio nota come Legge Madia.

Non sono certo nelle condizioni tecniche di commentare la sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionali gli articoli 11, 17, 18 e 19 della Legge Delega. Sottolineo soltanto come la motivazione dell’illegittimità sia incardinata sull’insufficienza del semplice parere della Conferenza Unificata Stato-Regioni al posto della necessaria e previa intesa.

Nel momento storico in cui la globalizzazione genera interdipendenze e commistioni inedite, soprattutto in seguito al fenomeno dei flussi migratori dai paesi più poveri del mondo, in una Italia che dovrebbe cogliere e valorizzare la sfida della pluralità culturale, modernizzando la propria struttura istituzionale, torniamo al punto di partenza: ognuno pensa a sé stesso, guardando sempre e comunque al proprio campanile.

Questa è la nuova frontiera delle minoranze rilevanti, i cosiddetti “veto players”, che da partiti caratterizzati da una forte ideologia autonomistica si sono trasformati in grumi di potere finalizzati alla difesa di interessi locali che si sovrappongono a quelli più generali del Paese, anzi spesso li superano, in sfregio alla collettività nazionale.

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