Intervista allo scrittore Mimmo Confessa, autore di “Le donne di Valerio” – di Ilaria Solazzo

Ilaria Solazzo, giornalista pubblicista e blogger, ha intervistato per noi Mimmo Confessa, lo scrittore pugliese che ha conquistato l’Italia intera.

Mimmo Confessa nasce a Taranto dove vive e lavora nel campo dell’antiquariato in una nota galleria della città. Esordisce nel campo letterario con “Le donne di Valerio” (Viola Editrice).

Nelle pagine del romanzo “Le donne di Valerio” uscito per Viola Editrice, Mimmo Confessa ci porta tra le pieghe d’una passione che non si lascia consumare dall’abitudine, dalla quotidianità del vivere. Valerio, il protagonista, è convinto che i grandi amori siano solo quelli impossibili. Abbiamo invitato l’autore a parlarci d’un tema mai esaurito…

Benvenuto su Newspam, Mimmo. E’ un piacere per noi averti nostro ospite. Come stai?
“Grazie per il graditissimo invito. Sto benissimo nonostante i problemi non manchino mai per nessuno”.

Le donne di Valerio… Mimmo e le donne: quanto c’è di autobiografico in questo libro?
“Di autobiografico ci sono cenni, sensazioni. Vero è l’episodio del bimbo in lacrime in piazza San Marco dinanzi alla Basilica, raccontatomi da mia madre. Probabilmente sono ancora alla ricerca del grande amore. Ma mi accontento di pensarlo”.

Un odore con cui ti piacerebbe fosse identificato il tuo libro…
Il tuo libro racchiuso in una frase?
“Il profumo di un fiore di magnolia”.

In quarta di copertina si legge che sei da sempre appassionato di libri e di scrittura. Quali i tuoi autori di riferimento?
“Amo Gabriele D’Annunzio. Il protagonista de ‘Il Piacere’. Andrea Sperelli, è nelle mie corde. Ne colgo le sfumature dell’umore, quell’aria nichilista decadente. Adoro le atmosfere degli aristocratici salotti romani di fine ‘800. Di Kafka ho colto le straordinarie descrizioni delle buie strade di Praga umide di pioggia, con il riverbero distorto delle insegne luminose sull’asfalto, e poi Buzzati, Herman Hesse, Stendhal. Amo i loro personaggi tragici, sono i miei eroi perdenti che non mediano, che non svendono la propria dignità, mai pervasi da sete di potere, brama di ricchezza; mai propensi a inchinarsi. Tutti consapevoli dell’ineluttabilità della solitudine. Per questo li adoro”.

Di una donna sei maggiormente attratto dalla bellezza, dall’intelligenza, dalla dolcezza o dalla cultura?
“Nel romanzo Luciana è un mix di tutto questo, penso che intelligenza, dolcezza e cultura, possano essere aspetti di un’unica forza: l’intelligenza, non nella sua accezione più fredda. Temo però di non riuscire a prescindere dalla bellezza e dal suo potere a volte ipnotico”.

Il negozio di antiquariato, nel romanzo, non è solo spazio fisico, ma anche luogo che interpreta esso stesso la storia. Insomma, una porta da cui si entra e si esce, pure metaforicamente.  Tu sei antiquario di professione, scrittore di passione. Ci sono varie affinità, ma quali le differenze sostanziali tra i due mestieri?
“Il lavoro d’antiquario, praticandolo dagli anni ’70, mi ha offerto molto. Non parlo di aspetti economici, che pure ci sono stati, ma di ricchezza di situazioni sempre nuove, in una continua ricerca in Italia e all’estero. Sono rimaste le emozioni di particolari ritrovamenti, come la ballerina in bronzo di Trubeckoj, in un cumulo di ferraglia sul Naviglio a Milano; una commode napoletana del ‘700 in una stalla in provincia di Taranto, o una pergamena in un paesino del sud a firma di Gioacchino Murat. Affinità? Come vedi sì, il mestiere di antiquario è fonte ispiratrice di storie e vissuti. La differenza sta soprattutto nel fatto che l’antiquario puoi farlo quando vuoi, o quasi. La scrittura ha invece bisogno della casa giusta, e della mente completamente libera da pressioni esterne. Oggi la mia attenzione maggiore è per la scrittura.

Il passato, dice la voce narrante, può rubarti il futuro. Ma, a tuo avviso, potremmo tutti prescindere dal ricordarlo?
“L’aforisma di Sloan Wilson è dogmatico. Mai voltarsi indietro. Si vive al presente dove passato e futuro non esistono. Perché farcene carico? Per quanto mi riguarda, ho un atteggiamento di paziente comprensione verso quell’uomo – me stesso – che spesso mi risulta buffo ed inconsistente”.

Ti è mai accaduto di sentirti intrappolato in un ruolo da cui fosse difficile uscire?
“A volte mi sento intrappolato nel mio sé. Non mi spiego questa meraviglia, questo prodigio. Il mondo messo su solo per me. Ma non impazzirò per questo”.

Nel dispiegarsi della trama, assistiamo ad un rapporto che non riesce ad emergere anche per via del peso sociale che uno dei due si porta dietro.
“Quando Valerio conosce Luciana per la prima volta non riesce, cogliendone lo status, a presentarsi col baciamano, anche solo accennato. E’ consapevole che forzandosi di farlo risulterebbe goffo. In questo caso il peso sociale viene visto da lui come un limite, anche se Luciana, per amore, dimentica il suo mondo senza difficoltà”.

Compiacersi di soffrire a causa dell’irrealizzabilità d’un amore, non rende disperato, e quindi impossibile, quell’amore?
“Non possiamo saperlo, vista la sua natura. L’amore impossibile resta cristallizzato con la sua incontenibile forza, come una scultura di Fidia protesa verso una speranza vana. Il compiacersi della disillusione descritto nel romanzo è solo un tramite, perché è nelle vette di quel dolore che si può cogliere una propaggine di verità, un senso al sé, diversamente inspiegabile”.

Credi ancora nell’amore?
“Sì, i grandi amori sono quelli impossibili”.

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