Sono stati in molti a volere fortemente lo scioglimento del Consiglio comunale di Brindisi e sono stati di gran lunga meno gli interessati all’approfondimento delle particolari motivazioni che hanno indotto un “quid de populo” ad azionare l’unico meccanismo che ha consentito detto risultato.
Colto l’obiettivo, la contestuale entrata del periodo estivo con la eccezionale ondata di soffocante calura, sembrano dimenticate le gravi criticità gestionali addebitate alla amministrazione Angela Carluccio ed alla sua cangiante équipe assessorile. Sicchè appaiono cadute nel dimenticatoio politico le accuse rivolte alla rappresentante di quella amministrazione colpevole, in sintesi, di avere agito in nome di “chi per lei” di aver adottato la interessata delibera del “codice etico” e di aver gestito, giusto per dire, il Comune all’insegna del vuoto pneumatico creatosi attorno e senza miraggi di sorta per i cittadini.
E’ accaduto che unico argomento della maggioranza politica-amministrativa di quel consiglio comunale, ora disciolto, sia stato la penosa ricerca di una intesa stabile per la formazione di una squadra assessorile con un rabberciato programma a nulla rilevando la non conoscenza dello stato economico-finanziario dell’Ente.
Consequenziale è stato che la situazione del Comune, ben nota all’apparato burocratico in quanto certificata con delibera commissariale prima della elezione dei nuovi organi, non è stata mai rappresentata a quel consiglio comunale peraltro eletto in gran massa da componenti di prima nomina e con scarsa cultura normativa sulla particolare gestione di un Ente Autarchico Territoriale.
Dalla lettura della delibera commissariale n. 2 del 16/3/16, da ritenere non conosciuta dai componenti della disciolta assise comunale per mancanza di atti consequenziali , con la eccezione dei consiglieri penta stellati che hanno presentato interrogazione al riguardo, è agevole rilevare la rappresentazione irreale, non documentata , confusionaria e persino pungente nei confronti della Magistratura contabile sullo stato dell’Ente. Ed è in relazione anche a quanto precede che inesorabile appare la obbligatorietà di chi di dovere, Collegio dei Revisori dei Conti in testa, per il riesame della succitata deliberazione ai fini della individuazione dei responsabili degli eventuali danni erariali di cui non è esentato il Commissario prefettizio o ancor peggio sulla creazione dei debiti fuori bilancio.
In conclusione e con riserva di una ulteriore nota sull’argomento, stimo utile la circostanza per rappresentare normativamente la figura del Commissario prefettizio di un comune di circa 90 mila cittadini.
Si tratta di un alto funzionario dello Stato, generalmente un prefetto in pensione, nominato dal Presidente della Repubblica, su indicazione del Ministero dell’Interno al quale risponde dell’incarico ricevuto, cui vengono attribuiti tutti i poteri ordinari e straordinari che sono assegnati dalla legge a sindaco, giunta e consiglio comunale. La carica di commissario resta sino alla tornata elettorale amministrativa successiva alla nomina e può su richiesta avere collaboratori con la qualifica di vice commissari.
E’ appena il caso di specificare che, laddove chiari sono i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione attribuiti dalla norma al Commissario Prefettizio nella gestione dell’Ente, è prassi costante del gestore monocratico del Comune ricorrere eccezionalmente e con oculatezza ai poteri per straordinari interventi nelle more della ricostituzione degli organi democraticamente eletti. Diversi sono i poteri della gestione ordinaria: il mancato esercizio di alcuni provoca indiscutibilmente un danno erariale che non può essere traslato sui cittadini, ma di questo se ne riparlerà.
Dr. Franco Leoci