“Cronache quotidiane”: frammenti poetici del giornalista Giuseppe Di Matteo ispirati alla pandemia-quarantena

A pochi mesi dall’uscita di “Frammenti di un precario” (Les Flâneurs Edizioni), il giornalista pugliese Giuseppe Di Matteo, classe ’83, torna in libreria con una nuova raccolta di frammenti poetici dal titolo Cronache quotidiane (edito sempre da Les Flâneurs), che si propone di riflettere, in versi, su questo periodo di pandemia-quarantena.

L’emergenza coronavirus ci ha infatti costretti a restare a casa e a cambiare radicalmente le nostre abitudini. In tanti, com’era prevedibile, hanno cominciato a rimpiangere la loro vita (e il mondo) di prima. Ma si stava davvero meglio? E in che modo la quarantena forzata ci ha cambiati?

Per tentare di fornire una risposta, Di Matteo ha provato a entrare nelle viscere del Belpaese lasciandosi guidare dalla scia dei suoi frammenti, strumento di cui da tempo non riesce più a fare a meno. E così si scopre che l’Italia dell’era “avanti Covid19” è un Paese ancora ostaggio di un virus non meno pericoloso, quello del razzismo (Tra un punto cardinale e l’altro/ho liberato la mia faccia/ dalla sua divisa si ispira, per esempio, a un paio di episodi di cronaca recente, uno dei quali ha avuto per oggetto la modella italiana Maty Fall Diba) e di un precariato che impedisce a un’intera generazione, quella dei 30-40enni in particolare, di vivere dignitosamente (Ho comprato il giornale stamattina/e ho sposato tra le righe/il lavoro mercificato/di mille disperati/di cui non parla /nessuno).

E poi c’è il racconto, in presa diretta, dei giorni di quarantena. Di Matteo annota quotidianamente pensieri, riflessioni, sentimenti; e descrive ciò che vede senza filtri (Uccide più del morbo/la paura a rate di una colonna infame) ma proiettando il suo sguardo anche oltre i confini di casa sua (Lesbo di terra amara/questa Europa di barbari/dove l’uomo è un lupo per l’uomo).

Una sorta di diario poetico, insomma, che riporta, con la passione tipica del cronista, gli episodi salienti del lockdown (Tutto andrà bene/come una preghiera /la mattina presto/e un bacio di caffè/sulla guancia di un giornale; È la nuova normalità/trincee d’ospedale/ e case nemiche; Canta /un cinguettio/ciò che l’uomo /non sa più dire) e le reazioni che questo suscita nella popolazione (Era l’Italia/ in cui non si usciva più. /Ogni tanto incontravo /un uomo in fuga /con la spesa /della sua prigione; Abbiamo già finito/di cantare sui balconi. /Troppa grazia, costa fatica/ e pulizia morale. È più comodo/ mandare sul balcone un uomo solo. /Lasciarlo fare. E dirgli che ha ragione). E già prima della fine del viaggio, si materializza un inquietante interrogativo: ne usciremo davvero migliori?

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