Yevhen Levkulych: la musica è pace e libertà – di Sebastiano Coletta

Yevhen Levkulych in concerto a Kiev

Una musica che unisce e consola. Un pianto sommesso che si fa grido di aiuto, una flebile luce nella notte più oscura. Una voce di madre nel frastuono assordante delle armi e delle sirene, a cui si alterna il silenzio della morte. Nella mente e nel cuore del giovane pianista ucraino Yevhen Levkulych, classe ‘91, è certamente una tempesta violentissima di sentimenti, che solo la musica può placare, trasformando la “voluntas” in “noluntas”, per dirla con Schopenhauer. Protagonista, domenica prossima alle 11:00, di un interessante concerto a Trani, nell’elegante palazzo delle arti Beltrani, insieme al violinista Temur Yakubov, Yevhen ci ha raccontato com’è nata l’idea: «Da quando è cominciata questa guerra tra Russia e Ucraina, ogni ucraino pensa a come poter aiutare il nostro Paese e il nostro popolo. Essendo musicista, penso che ognuno debba fare ciò che gli riesce meglio. Così ho parlato con diversi amici musicisti in Puglia, tra cui il maestro Pierluigi Camicia (presidente dell’associazione Auditorium, ndr) e, alla fine, abbiamo dato vita a un concerto dedicato al popolo ucraino». Il ricavato, lo ricordiamo, sarà devoluto interamente alla Croce Rossa per aiutare la popolazione in difficoltà.

Yevhen Levkulych e Temur Yakubov

Yevhen, parlaci del programma certamente particolare che affronterai con il violinista Yakubov. Quanta Ucraina c’è in questi brani? «Suoneremo brani di Ljatošyns’kyj, Lysenko, Bortkevič e Skoryk. Tutti compositori ucraini».

A chi di loro ti senti maggiormente legato? «Temur e io volevamo presentare brani di diversi compositori. Quando suoniamo insieme, prendiamo il nome di “Bortkevič Duo”, perché Sergej Bortkevič è il nostro compositore preferito. Nato in Ucraina, a Charkiv (una delle città maggiormente colpite dai bombardamenti russi, ndr), dovette lasciare il suo Paese in seguito all’occupazione comunista, alla quale era contrario. La sua attività è legata soprattutto alla Germania e all’Austria, per questo in Ucraina è stato riscoperto solo recentemente. Anche Myroslav Skoryk è un compositore molto importante per il nostro Paese, per la nostra cultura. Un vero simbolo nazionale, deportato con la famiglia in Siberia durante l’Unione Sovietica perché ostili alla dittatura comunista». Sull’onda delle parole di Yevhen, scorgiamo nella “Melodia” per violino e pianoforte di Skoryk i colori e le suggestioni dell’Ucraina. Sembra di percepire in quelle note l’amore infinito per una terra martoriata dalla crudeltà umana, che il canto patetico del violino eleva a inno straziante di libertà. E’ la voce del popolo dell’Ucraina, delle vittime innocenti travolte dalle esplosioni, delle famiglie costrette alla fuga verso un futuro incerto.

Yevhen Levkulych in concerto a Kiev

Yevhen, come stai vivendo queste settimane? «Tutti noi abbiamo famiglie e amici in Ucraina. E’ molto difficile. Telefoniamo sempre e cerchiamo in internet per avere notizie sulle loro condizioni. E’ difficile accettare l’idea di città e paesi dove, fino a una settimana fa, c’era la pace e che ora sono sotto l’attacco da parte di uno Stato (la Russia, ndrche dice di essere nostro “fratello”».

Tra l’altro tu sei cresciuto a Luhans’k, nel Donbass, una delle due regioni russofone dell’Ucraina Orientale che si sono autoproclamate indipendenti da Kiev. Azione, questa, che ha contribuito a scatenare il conflitto con Mosca. «Sì, anche se dopo mi sono trasferito a Kiev. Però parlo sia russo che ucraino. Ultimamente forse parlo meglio ucraino».

Lingue sorelle, che condividono i caratteri cirillici ma presentano delle differenze… «Certo, l’ucraino è una lingua più vicina all’Europa, che ha delle affinità molto evidenti con il polacco e con il bielorusso».

Che rapporto hai con l’Italia? «Mi piace molto vivere in Italia. Gli italiani sono per tanti aspetti uguali agli ucraini, per accoglienza e positività. Trovo la gente molto gentile e disponibile. Posso dire di avere amici veri in Italia». Del resto, l’amicizia non ha nazionalità: può nascere in qualunque luogo, anche il più inospitale. Non ha lingua né cultura, l’amicizia, quando è sincera e viene dal profondo del nostro cuore. «Certo, è vero», replica lui, evidentemente emozionato mentre parla della sua cultura. E’ tutto ciò che, in questo momento, tenga idealmente in contatto con l’Ucraina.

Yevhen Levkulych

Yevhen, ritieni giusta l’esclusione di musicisti e orchestre russi dai teatri italiani ed europei per non essersi schierati apertamente contro la politica del proprio Paese? O la musica, l’arte, la letteratura dovrebbero essere scisse dalla politica? «E’ una domanda molto difficile. Posso solo esprimere il mio pensiero. Ognuno di noi fa delle scelte. Adesso, in questa situazione, tutti siamo presi da emozioni contrastanti. L’esclusione, forse, è la conseguenza di una posizione che tollera la guerra e ciò che la Russia sta facendo in Ucraina». Ricordiamo le giuste polemiche che ha suscitato la decisione dell’Università di Milano-Bicocca (poi revocata) di sospendere un corso monografico su Fëdor Dostoevskij, in quanto autore russo. Lungi dal sostenere o giustificare la violenza, di per sé esecrabile, riteniamo queste semplificazioni come le “damntationes memoriae” contrarie a una corretta analisi di un fenomeno ampio e complesso, che di certo non c’entra nulla con la cultura di un popolo. E’ compito di chi diffonde la conoscenza, insegnare a maturare un giudizio critico e non empirico sulla storia piuttosto che sull’attualità.

Tornando alla musica, Yevhen, c’è un ricordo in particolare che ti lega alla tua terra? «Certamente quando ho suonato a Kiev, nella sala “Mykola Lysenko”, con l’Orchestra Sinfonica Nazionale Ucraina, il 13 marzo del 2018. Eseguii il primo concerto per pianoforte e orchestra di Bortkevič. Un ricordo davvero meraviglioso. L’anno precedente, invece, con Yakubov avevamo organizzato un bellissimo festival su Bortkevič, per farlo conoscere alla nostra gente. Pensa, solo nel 2000 un direttore d’orchestra ucraino ha suonato per la prima volta in Ucraina la sua Sinfonia n. 1».

Conti di ritornare in Ucraina, quando sarà possibile, oppure di restare in Italia? «Credo sia impossibile rispondere al momento. Adesso mi sto perfezionando al conservatorio di Bari, dopo valuterò se tornare in Ucraina o restare in Italia. Per me è importante realizzarmi come musicista e, in Europa, intravedo più possibilità. L’Ucraina avrà bisogno di un lungo periodo dopo la guerra per rinnovarsi. L’Italia è nel cuore e, insieme all’Ucraina, è il mio Paese. Il futuro ci dirà cosa fare».

Secondo te in che modo la musica può essere di aiuto ai tuoi connazionali e, in generale, a quanti sono nella sofferenza? «Attraverso i concerti di beneficenza, come in questo caso, per aiutare il popolo ucraino. Ma la musica può curare la nostra anima. Suonando, possiamo diffondere la cultura ucraina, perché la musica è sempre l’anima di una nazione. I paesi europei hanno una cultura musicale ricchissima. Se vogliamo dire che l’Ucraina è un paese dell’Europa, bisogna far conoscere la sua cultura». Yevhen Levkulych tradisce un dolore inesprimibile a parole, per una terra ricca di storia e di fede, la sua terra, che certi “signori della guerra” hanno trasformato in un inferno, dove i bambini non giocano più e le loro madri, come gesto estremo di amore, li consegnano a chiunque possa portarli al confine, lontano dalla morte. Una patria, l’Ucraina, che prova con tutte le sue forze a resistere, come la ginestra leopardiana alla lava dello “sterminator Vesevo”. Perché la musica c’insegna che, al mondo, non c’è parola più bella e preziosa della libertà.

Sebastiano Coletta

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