Women in Bach: la musica è donna! A colloquio con alcune delle protagoniste del concerto al Teatro Impero di Brindisi

Il concerto al Teatro Impero di Brindisi

La musica è come il mare: appartiene a chiunque desideri lasciarsi toccare dalla sua bellezza senza tempo e dalla sua forza salvifica. La musica di Johann Sebastian Bach, nella sua geometria eclettica e complessa, evoca tutti i valori umani: se pensiamo, su tutte, alle composizioni per organo, l’imponente drammaticità della vita nella Fantasia in Sol minore BWV 542, lascia presto spazio alla ricerca della gioia nel Preludio e Fuga in Mi bemolle maggiore BWV 552. Ma la vita è fatta anche di meditazione e, per chi crede, di preghiera. Tra i molti corali scritti o riarmonizzati, il BWV 639, per esempio, è un affidamento totale a un Dio (il titolo, “Ich ruf zu dir, Herr Jesu Christ”, significa appunto “T’invoco, Signore Gesù Cristo”) austero, ma capace di grande tenerezza, in un’ottica di fede tipicamente luterana. Importanti nella produzione bachiana sono i tredici concerti per clavicembalo. Eseguiti di recente a Brindisi, nell’ambito di una matinée autunnale al teatro Impero promossa dall’associazione “Auditorium” e da “Puglia Sounds”, i concerti BWV 1060, 1061, 1062 e 1065 sono, in fondo, un incontro che si fa dialogo tra gli strumenti, affidati, in questo caso, alla sensibilità femminile che può esprimerne al meglio la bellezza. «Si tratta di iniziative della regione Puglia per valorizzare le artiste e gli artisti pugliesi», ci spiega Gemma Dibattista, concertista e docente di pianoforte al conservatorio “Piccinni” di Bari.

Gemma Dibattista

«Così abbiamo partecipato mettendo su questo bellissimo concerto assieme all’Orchestra Filarmonica Pugliese e gli abbiamo dato un valore aggiunto, essendo noi tutte donne». In realtà la musica è donna, se pensiamo alle grandi donne del passato che l’hanno coltivata, come Ildegarda di Bingen, monaca e compositrice geniale in un medioevo tutto declinato al maschile, Maddalena Casulana, la prima donna ad aver pubblicato ufficialmente delle composizioni, Francesca Caccini, tra le più grandi interpreti della corrente barocca, oppure ancora, nel ‘900, Jeanne Demessieux, compositrice, pianista e organista francese. La presenza di quattro pianiste nella matinée brindisina è un’ulteriore conferma del valore femminile intrinseco alla musica stessa. Come mai la scelta di Bach? «Il motivo principale – ci dice la Dibattista – è che la bellezza di questi concerti è tale che può spaziare dal pubblico più profano a quello più colto, riscontrando sempre un ottimo successo. Non c’è una nota che Bach non abbia saputo porre al punto giusto nel momento giusto». Si può parlare di un nuovo periodo di crisi della musica bachiana? «Questo è relativamente vero, perché nei conservatori i programmi di studio prevedono molti brani di Bach, quindi a livello accademico lo studio di questo autore è posto a livelli prioritari. A livello concertistico – prosegue – Bach è un autore molto difficile, per cui scegliere di inserire in Bach è un “rischio”. Tant’è che pochi sono, a livello internazionale, gli esecutori che si sono davvero dedicati allo studio puntuale della produzione bachiana. Magari si preferisce il Bach per violino o violoncello, anche perché le composizioni per pianoforte sono, in realtà, delle trascrizioni». Ricordiamo, a questo proposito, che il BWV 1065 è un’elaborazione cembalistica del Concerto n. 10 per archi in Si minore RV 580, dall’Estro Armonico op. 3 di Antonio Vivaldi. Una musica intensissima sin dalla prima battuta, dominata dalle tipiche progressioni barocche che introducono i temi, ora sussurrati, ora declamati, dagli strumenti, in un’armonia che Bach non stravolge, anzi, sublima come solo un artista sa fare, con i tipici riempimenti, la sostituzione di semiminime con crome per vivacizzare il ritmo e gli abbellimenti disposti in maniera mai casuale. Chiediamo a Francesca Carabellese, primo violino di spalla dell’Orchestra Filarmonica Pugliese (ensemble nato nel 2013, che vanta un ampio repertorio, dalla musica barocca alla sinfonica al pop e alle colonne sonore), cosa la colpisca particolarmente di Bach.

Francesca Carabellese

«Sicuramente la sua architettura straordinaria e di grande modernità. Si pensi alla scelta di affidare le parti degli archi ai clavicembali». Facciamo notare alla Carabellese che l’Orchestra Filarmonica Pugliese, almeno in questa occasione, non aveva un direttore. «E’ una nostra precisa scelta, perché in origine e, fino a tempi piuttosto recenti, le orchestre non prevedevano la figura di un direttore. Era il primo violino a dare l’attacco e a condurre gli altri strumenti». Insomma, è un modo per recuperare lo spirito delle orchestre da camera e di quei concerti barocchi (si pensi ai concerti grossi di Corelli e di Händel) la cui struttura sarà alla base delle sinfonie nel periodo classico-romantico. «Esatto, proprio così. Del resto la mia formazione personale è tipica del quartetto, dove ogni voce è importante», ci risponde con dolcezza. Una domanda “intima”: quando la musica è entrata nella sua vita? «Avevo nove anni ed entrai in contatto – assieme a mia sorella, di un anno più piccola – con una scuola di musica nella mia Molfetta, dove dapprima fui avviata allo studio dell’organo. Immagini una bambina di 9 anni che suona l’organo (ride, ndr). Va detto che la musica certo mi piaceva, ma coltivavo altri interessi, tra cui lo sport. Fu la maestra di solfeggio a notare l’orecchio assoluto e a consigliare ai nostri genitori di farci proseguire col violino. A un certo punto mi trovai di fronte a una scelta: o m’iscrivevo al conservatorio o lasciavo. Decisi di iscrivermi. Insomma, è stata la musica a scegliere me». Sulla corretta esecuzione di Bach ci sono da sempre pareri discordanti. Da un’esecuzione più vicina all’espressività, non propriamente barocca, del pianoforte a uno stile più rigoroso, che vede nel pianoforte il diretto erede del clavicembalo e deve perciò mantenersi il più fedele possibile alle caratteristiche sonore proprie di quest’ultimo. Interessanti le parole rilasciate in un’intervista da Glenn Gould, tra i massimi interpreti di Bach (magistrale la sua incisione delle Variazioni Goldberg): «Credo che il pianoforte offra alcune grandi risorse appropriate per la musica di Bach e altre totalmente inappropriate. Quindi si tratta di adottare gli elementi che valorizzano la musica o, meglio, che rientrano nei parametri che la musica stessa contempla». Questo però – sintetizzando il discorso di Gould – non significa dover credere ottusamente che a Bach interessassero in modo esclusivo le specifiche del suono, perché questo chiaramente lo renderebbe schiavo degli strumenti con e per i quali compose. Domandiamo a Stefania Argentieri, che ha preso parte alla matinée con le ottime Chiara De QuartoGemma Dibattista e Marilena Liso, quale sia il suo rapporto con Bach.

Stefania Argentieri

«Sono stata molto contenta di aver suonato questi concerti di Bach, perché, per la prima volta nella storia della musica, il clavicembalo si presenta come solista piuttosto che come strumento di accompagnamento (lasciando cioè le parti principali agli strumenti monodici). A questo proposito, pensi che l’orchestra, anche nel BWV 1061 che ho suonato io, ha un ruolo quasi marginale rispetto al clavicembalo-pianoforte». La giovane età della pianista tradisce un’evidente maturità intellettuale, unita a un amore profondo per la sua città e a un grande talento, che le ha permesso di essere notata e apprezzata in Italia e all’estero. Le tre musiciste concordano su un punto: la necessità di portare, quanto più possibile, la musica tra la gente. «Bisogna che i bambini e i ragazzi ascoltino tantissima musica», dice Stefania. «La musica classica, al contrario dei generi moderni, non prescinde da una – anche minima – conoscenza del contesto storico e culturale in cui è stata scritta, altrimenti si rischia di darle un’interpretazione sbagliata. Per questo, ad esempio, è importante promuovere nelle nostre realtà cittadine le stagioni concertistiche e pensare a dei metodi alternativi perché i giovani possano incuriosirsi e avvicinarsi alla musica e, magari, allo studio di uno strumento». Nelle parole della Argentieri ci pare di cogliere una critica velata alle istituzioni locali, che, forse, dovrebbero mostrare maggiore attenzione verso l’arte e la musica, affiancando e sostenendo le associazioni e i singoli professionisti che, sempre più spesso, si trovano da soli nel contrastare un preoccupante disinteresse. Diversi sono i grandi nomi del panorama musicale italiano, da Riccardo Muti a Uto Ughi (recentemente ospite al “Verdi” di Brindisi per un meraviglioso concerto), che hanno manifestato a favore dell’integrazione dell’insegnamento della musica nelle scuole di ogni ordine e grado. Un’osservazione che condividiamo totalmente, fiduciosi che l’Italia torni, un giorno, a rappresentare la musica nel mondo. E’ proprio nel “Bel Paese”, infatti, che la musica affonda le sue radici: non esiste spartito al mondo che non contenga le indicazioni di tempo e di esecuzione in lingua italiana. Caccini, Corelli, Vivaldi, Martini, fino allo stesso Salieri: senza di loro la musica occidentale non esisterebbe. Ancora, per secoli i librettisti hanno scritto in italiano opere che la musica ha consegnato all’eternità. Johann Sebastian Bach, compositore prolifico, morto in estrema miseria nel 1750, fu riscoperto da Mendelssohn dopo un lungo periodo di oblio, dovuto essenzialmente alla rapida successione degli stili galante, classico e romantico, che rifiutavano le forme e le sonorità barocche. Ma la musica, come la storia, è ciclica, non ha confini e unisce elementi apparentemente diversi e inconciliabili in un unico linguaggio, quello dell’amore e della libertà. Bach ci insegna che la musica emerge su tutto, anche sulla paura del silenzio. “La musica aiuta a non sentire dentro il silenzio che c’è fuori”, diceva. Nulla è più forte della musica, della voglia di vivere, di cui è l’essenza più vera.

Sebastiano Coletta  

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