SU QUELL’INTERCALARE NAZIONALE MOLTO USATO… Considerazioni a margine di una ex parolaccia sempre in voga – di Gabriele D’Amelj Melodia

Quant’è curiosa la nostra vita! Ci sono argomenti relativi a piccoli episodi di cronaca e di costume che, magari dopo un lungo riposo sotto le ceneri, esplodono poi all’improvviso e più volte, quasi contemporaneamente, ritornando di viva attualità a beneficio degli amanti del cazzeggio (termine in questo frangente quanto mai azzeccato) e degli osservatori dei costumi italici. E’il caso della parolina di cinque lettere, di cui due zeta ravvicinate dall’effetto molto fonico e liberatorio, che da anni ha ormai perso il significato anatomico originario a favore di una valenza interiettiva ed esclamativa forte e sfogatoria. Avete già capito che mi riferisco al lessema “cazzo”, antico vocabolo coniato nell’alto medioevo e già presente nella lingua parlata e scritta dei popoli antichi. Per Aristofane era il “kèrkos”, per Plauto la “mentula” o il “pedunculum” (ancora oggi noi diciamo “ad pedunculum canis”). Il termine cazzo lo troviamo nel Decameron del Boccaccio, nelle novelle del Sacchetti, nelle poesie hard di Giorgio Baffo, nell’Aretino. Gioacchino Belli gli dedicò un intero sonetto dal titolo “Er patre de li santi”. Questo è l’incipit, molto noto: Er cazzo se po’ dì radica, ucello,/ cicio, nerbo, tortore,/ pennacchio…”. Ma lasciamo perdere la letteratura e torniamo alla storia e poi alla cronaca. Il lemma “cazzo” finì di essere un termine colloquial-volgare alle 17,30 del 25 ottobre del 1976, quando Cesare Zavattini, in una puntata  di “Radio anch’io”, pronunciò questa frase solenne. “…E adesso dirò una parola che finora alla radio non ha detto mai nessuno…(pausa)…CAZZO !!! Il tabù era infranto per sempre! E così tutti cominciarono ad usarlo con disinvoltura, sempre come figurazione di “niente” ( non vale un c.) di “caspita” (c!), di “cosa” ( che c. dici!) e  in tutto il suo corollario derivato. “Cazzo, cazzone, cazzate, cazzeggio, cazzuto, cazzarola”, divennero termini di patrimonio linguistico comune e democratico, in quanto sulla bocca di tutti, uomini donne e trans, giovani e vecchi, popolani e borghesi, nobili e prelati. In quanto a quest’ultima categoria, non c’è da scandalizzarsi. Un esempio per tutti è quello di Papa Benedetto XIV, al secolo il bolognese Prospero Lambertini, che a metà del 700 stupì e imbarazzò chi gli stava intorno per il ricorso continuo e generoso della parolina “cazzo”, ovviamente desemantizzata e considerata solo come espressione forte, di colore, insomma il rafforzativo che occorre quando si vuole rimarcare  impazienza o indignazione. Leggendario il “Salga a bordo, cazzo!” urlato dal rude (ma serio) uomo di mare Comandante De Falco al pusillanime Schettino. L’attualità ci riserva poi due casi quasi simili di sfogo verbale a base di “cazzo”. Uno è quello che ha visto protagonista l’allenatore Mihajlovic ai microfoni di Sky. Rivolto al giornalista Alex Bonan ha detto :”La pubblicità la mandi dopo, cazzo! Io me ne vado!”. L’altro caso, quasi in contemporanea, ha interessato il nostro sindaco Riccardo Rossi. Durante il consiglio comunale di ieri in cui si è discusso e votato per la riduzione dei compensi del primo cittadino e dei membri di Giunta, pare che il Rossi abbia pronunciato queste testuali parole “… Il,taglio non serve a un cazzo!” L’audio della ripresa streaming non lascerebbe dubbi, almeno questa è la tesi del direttore de “L’Ora di Brindisi” Andrea Pezzuto. Di  diverso parere gli uomini e donne di Brindisi Bene Comune, i Pasdaran di Riccardo, i quali, in una nota piuttosto aspra, criticano il direttore Pezzuto, già colpevole di precedenti “pizzicate”in danno del sindaco. La questione potrebbe finire davanti ad un giudice che di certo disporrebbe  una perizia fonica. La cosa mi rattrista, perché una buona dose di  spirito da parte di tutti rasserenerebbe l’ambiente e i rapporti interpersonali. Che poi, alla fine, dal punto di vista logico, proprio quella era l’espressione giusta per tradurre il pensiero dell’illustre ribelle al taglio delle indennità! Era solo un rafforzativo, cazzo!

 

Gabriele  D’Amelj Melodia

 

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