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Settimana speciale, questa, di festa e di rinascita: augurando a tutti i lettori della rubrica di trascorrere con serenità i giorni delle festività pasquali, segnalo un libro che medita sulle emozioni racchiuse nelle parole e sul loro potere di dischiudere mondi. Lost in translation (Marcos y Marcos) di Ella Frances Sanders è un volumetto che raccoglie cinquanta parole, tratte dai vocabolari delle più svariate lingue del mondo, tutte accomunate dalla loro intraducibilità.

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Solo grazie all’uso di perifrasi articolate, infatti, parrebbe possibile avvicinare la profondità precisa dell’emozione, la distinta condizione dell’Essere tratteggiata dai lemmi considerati. Ed ecco che l’inuit ha la parola iktsuarpok per indicare quel «senso di aspettativa che ti spinge a uscire ripetutamente per vedere se magari qualcuno sta arrivando»; e la lingua giapponese dice wabi-sabi per sottolineare «la bellezza dell’imperfezione» che si cela nelle nostre vite transitorie e asimmetriche; e ancora che esiste una parola per restituire «lo scintillio negli occhi al primo incontro»: è tiám, e ce la regala il persiano. Un viaggio sentimentale attraverso le parole, dunque: mai unità isolate di un discorso, bensì strutture plastiche, modellate dal tempo e dagli usi, tese a tracciare ponti mobili tra il mondo e l’io, tra la vita e le personalissime maniere di declinarne il senso. Alla prossima settimana (non prima di avervi augurato che la calda «luce del sole che filtra tra le foglie degli alberi» illumini le vostre ore di festa. Esiste una parola giapponese per dirlo: Komorebi).

di Diana A. Politano




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