La collana Nero Rizzoli si arricchisce di un nuovo romanzo di Frédéric Dard (autore di cui sono già disponibili, sempre per Rizzoli, Gli scellerati e Il montacarichi, che pure vi abbiamo raccontato in questa rubrica): si tratta di I bastardi vanno all’inferno, uno dei suoi libri più famosi, con un testo nato in origine per il teatro, poi trasposto in un film di successo e infine divenuto un romanzo. Siamo in una località marittima della Francia meridionale, negli anni Cinquanta, e i due protagonisti sono una spia accusata di aver cercato di aprire una cassaforte in un laboratorio a Saclay (nevralgico polo nazionale di ricerca tecno-scientifica) e un agente dei servizi segreti, incaricato di fingersi suo compagno di cella e di evadere insieme a lui per smascherare i vertici dell’organizzazione di cui l’altro fa parte: una missione non ufficiale, dunque, in cui l’agente dovrà spogliarsi della propria identità e assumere un rischio immenso senza poter fare affidamento su alcuna copertura istituzionale. Più che una missione, viene da pensare ad un viaggio verso l’inferno del titolo, il momento cruciale in cui il destino, e il caso (che sempre enorme peso hanno, nelle trame ordite da Dard), rimescolano le carte che compongono queste due vite, in un gioco di sovrapposizioni e di riflessi che si chiarificano, come è giusto che sia, solo alla fine. In fondo, astratti dai propri ruoli, con la vita resa puro corpo e violenza e col tempo inscatolato tra le fetide mura di una cella, chi è Hal e chi è Frank? Ha ancora senso chi sia il criminale e chi il poliziotto? Chi legge si ritrova invischiato in questo gorgo vertiginoso ed immerso nella medesima chimera che anima i due uomini. Anche la comparsa della figura misteriosa e affascinante di Dora contribuirà a renderceli simili: similmente violenti e ciechi, mero corpo e istinto fino all’epilogo finale (con colpo di scena). Lì dove scopriamo che vi era posto per l’amicizia autentica, resta solo un cielo bianco, «un cielo bianco che poteva invogliare gli uomini a ripartire da zero. O a farla finita una volta per tutte».
Diana A. Politano