“Almarina” di Valeria Parrella

Almarina è il nuovo libro di Valeria Parrella: fra le mani sono poche più di cento pagine ma vi si sente il peso delle narrazioni che sciolgono i nodi di una vita. Se da un lato il romanzo appunta il tempo speciale di chi è rinchiuso e lavora nel carcere-vascello di Nisida o «l’atmosfera diversa di ossigeno rarefatto» comune a ciascuno di quei luoghi che – a forza di vivere – capita si debbano frequentare, dall’altro non esita ad aprirsi al respiro del mare, alla bellezza struggente di un belvedere sospeso a metà, di un albero di fico che trova la forza di crescere a testa in giù o di evoluzioni interiori che donano insperato coraggio. Al centro della storia, due donne: Elisabetta Maiorano, docente di matematica ai detenuti del carcere minorile di Nisida, e Almarina, ragazzina romena con la quale Elisabetta sceglie di continuare crescere e alla quale desidera far ricordare le parole che è stata costretta a dimenticare sin da bambina – Almarina che diviene il centro attorno al quale costruire il futuro. Una scommessa, quella di Elisabetta, che arriva dopo molto dolore e per la quale sarà necessaria molta pazienza: per poter insegnare a qualcuno a nuotare o sapere se sarà possibile confondere i rispettivi vestiti in lavatrice o «se metterò o meno il peperoncino nel sugo olive e capperi», bisogna attenersi ai riti procedurali e aspettare il tempo di giudizi che non sempre lasciano emergere una storia che corrisponde alla nostra: «ci vuole un sacco di tempo, o una poesia perfetta per dire davvero le cose come stanno. E le udienze sono brevi, e i ricorsi non sono scritti in versi». La forza di Elisabetta è qui: nel non avere paura di tutta questa incertezza, nell’abbandonarsi alla semplice gioia che Almarina, lasciato il carcere, viva con lei per tutto il tempo che vorrà e senta il suo amore che non conosce autorità e non promette niente. Sarà così che il luogo del giudizio finisce per rappresentare «il luogo del riassunto, di dove le nostre due vite, che assieme assommano a una settantina di anni, a due Paesi, a un braccio di mare in cui riposano i nostri morti, vengono condensate in poche pagine di atti protocollati in cancelleria. Non riusciremo mai a dirvi davvero tutto quello che le nostre retine hanno visto impresso, né cosa, di quelle immagini, ci ha trasformato per sempre il cuore. Perché siamo donne in divenire, e quando saremo uscite da qui già saremo diverse».

Diana A. Politano

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