L’ANGOLO DEI LIBRI – “Sembrava bellezza” di Teresa Ciabatti

I libri di Teresa Ciabatti sono questo: forme narrative che spingono verso l’abisso, che costringono al salto verso le zone più oscure dell’animo, verso gli anfratti inconfessabili del pensiero. È così in La più amata, poi in Matrigna (libri della Ciabatti di cui in questa rubrica ci si è già occupati), e torna ad accadere anche in Sembrava bellezza, il nuovo romanzo da poco uscito per Mondadori. Qui il salto non è solamente ideale, non riecheggia solo nel nome del quiz-show Caduta libera, ma si realizza come fattispecie, terribile e concreta, da un ponteggio per la ritinteggiatura della facciata di una palazzina ai Parioli. Roma bene, famiglie altoborghesi, adolescenti inquiete ai tempi della scomparsa di Emanuela Orlandi. A cadere è la diciassettenne Livia – enigma di bellezza e sfrontatezza, sogno erotico per compagni di scuola e per un intero quartiere, oggetto di ammirazione e invidia per la sorella Federica e per la sua amica, la scrittrice ormai famosa che oggi è la voce narrante del romanzo (e allora era la ragazzotta sovrappeso arrivata nella capitale dalla provincia toscana). Livia cade, dunque, e da quella notte rimane imprigionata in un’adolescenza interminabile fatta di sogno e afflizione, mentre le vite degli altri prenderanno le direzioni più diverse proprio in conseguenza di quell’evento che ne incide le coscienze. Noi lettori – incalzati, interpellati e talvolta persino sfidati – veniamo condotti alla scoperta di un catalogo iperrealista di volti e di contesti, dove ogni situazione è estrema e a dominare sono le tinte forti, aspre, violente dell’immaginario di giovani donne che si confrontano con i mostri di certe adolescenze. Teresa Ciabatti è questo: tempo che si avvita in vortici di presente e di passato, verità autobiografica che si stempera nella finzione, tragedie senza eroi né eroine, bensì individui colti nel perenne dibattersi al centro delle loro guerre interiori, nel confronto con i propri istinti peggiori, mai speciali («nemmeno nell’orrore»), meschini – eppure che diventano scrittori per «inventare, sistemare. Eccomi adulta coraggiosa, eccomi ad allungare il passo, scattare, mettermi sotto – le finestre, i balconi, i burroni, i dirupi della vostra giovinezza –, spalancare le braccia, prendere al volo le ragazze».

Diana A. Politano

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