L’ANGOLO DEI LIBRI – “Due vite” di Emanuele Trevi

Due vite è il libro di Emanuele Trevi, uscito per Neri Pozza, vincitore della LXXV edizione del Premio Strega – un libro che l’autore, sin dalle prime dichiarazioni rilasciate dopo la proclamazione, ha indicato come forma narrativa impura, in cui in effetti confluiscono saggio biografico, critica letteraria, riflessione filosofica e l’inesauribile caleidoscopio emozionale che non può che caratterizzare un’amicizia decennale quale quella che lo lega a Rocco Carbone e Pia Pera. Sono loro le due vite del titolo – esistenze particolari che inevitabilmente diventano specchi universali in cui riconoscere fenomeni, accidenti e illuminazioni comuni. Entrambi scrittori, furono amici di Trevi fino a quando Carbone non scomparve improvvisamente in seguito ad un incidente e Pera non si spense, lentamente, a causa della SLA. Delle stagioni attraversate dalla loro amicizia restano sulla pagina i ricordi vividi, i frammenti di risate e telefonate, i dissapori e le incomprensioni che finanche un’amicizia sincera finisce a contenere in sé. Persino una fotografia, scattata da Carbone agli altri due: un momento immortalato, o reso piuttosto nella sua transitorietà e fugacità, in cui i protagonisti hanno «un’aria felice e probabilmente un po’ brilla, di persone totalmente appagate dal momento, dalla compagnia». Le divagazioni di Trevi prendono le mosse da una mattinata del 1995 quando i tre si recarono al Musée d’Orsay a Parigi per vedere dal vivo L’origine del mondo, la tela di Courbet che il museo aveva appena acquisito – una mattina, si diceva, in cui «la vita pareva ancora nascondere qualche promettente segreto». Superato l’iniziale riserbo ad accedere ad un tale, privatissimo, album dei ricordi, sappiamo che le vite di Rocco Carbone e di Pia Pera (lui, «una di quelle persone destinate ad assomigliare, sempre più con l’andare del tempo, al proprio nome. Molti lati del suo carattere per niente facile suggerivano un’ostinazione, una rigidità da regno minerale»; lei, l’incantevole e curiosa Pia, che «spiava il cielo cercando le stelle giuste, l’orientamento decisivo» prima di approdare finalmente al suo giardino segreto) resteranno per sempre. La scrittura si è fatta «mezzo singolarmente buono per evocare i morti» e colmare un’assenza, rimandare in là «la grande e interminabile festa del Nulla», ricomponendo il perpetuo scintillio di due vite speciali.

Diana A. Politano

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