“La vergogna” di Annie Ernaux

Avere a che fare con un libro di Annie Ernaux necessita di alcune avvertenze: la lingua e lo stile sono semplici, sommessi, non è dato ritrovarvi «l’incanto delle metafore, l’esultanza dello stile», eppure brillano per la loro consistenza potente, la stessa capace – di romanzo in romanzo – di restituire forma a un mondo lontano e ai molteplici toni della realtà, di scavare nella storia di una donna fino a far approdare sulla pagine le parole che segnano la fine di un pezzo di vita. Mio padre ha voluto uccidere mia madre una domenica di giugno, nel primo pomeriggio: comincia così La vergogna (il romanzo-memoir di Annie Ernaux appena uscito in una nuova edizione per L’orma Editore), inizia cioè con il chiaro intento di fermare il tempo a quel 15 giugno 1952, all’immagine che costituisce per l’autrice (allora dodicenne) il momento a partire dal quale la vita andrà spartita con la vergogna – sentimento che, a dispetto di un’esistenza che andrà avanti tranquilla e come nulla fosse accaduto, si insinua irrimediabilmente, le entra sottopelle, la allontana dalla comunità borghese di cui brama l’accettazione per relegarla senza appello alla feroce bruttezza della famiglia contadino-operaia cui appartiene.

Per raccontare tutto ciò, per provare a «scrivere libri di cui poi mi fosse impossibile parlare, (…) che rendessero insostenibile lo sguardo degli altri», Annie Ernaux recupera le parole e i filtri attraverso cui vedeva e pensava il mondo attorno a sé, stabilisce «ciò che per me era normale e ciò che era inammissibile, persino inimmaginabile» e procede sicura all’inventario delle emozioni, dei gesti, degli oggetti, delle canzoni, dei privatissimi interni familiari,  del senso di una cintura nera, elastica, di cui sentire la mancanza per tutta la bella stagione. La scena cui la bambina assiste, e la vergogna sociale che consegue, vanno sezionate, sottoposte ad analisi etnologica, valutate alla luce dei criteri di giudizio in uso nel mondo della «piccola D.», ovvero il paese Y. e l’istituto cattolico privato che frequenta, e in cui eccelle. La topografia di Y., con le disuguaglianze sociali inscritte nei nomi delle strade, viene ricostruita; vengono mappati i codici del perbenismo provinciale, come anche si restituisce l’universo chiuso della scuola privata colto nel momento in cui ancora – prima di quella domenica – lo si poteva abitare con serenità. Da allora in poi, quello che sembrava normale – la fissità delle abitudini e di un ruolo sociale che si sente connaturato – diventa motivo di vergogna non appena si percepisce lo sguardo degli altri, ed è adesso che scatta prepotente il desiderio di tradire la propria essenza, di forgiarne una nuova, di segnare una cesura tra sé e il mondo da cui si proviene, di andare incontro a nuovi sensi di colpa e rinnovate vergogne.

Diana A. Politano

 

LASCIA UN COMMENTO