Viviamo tempi complessi, contraddittori e ricchi di novità, che ci portano naturalmente ad associare questi cambiamenti all’impetuoso sviluppo delle tecnologie.

In realtà, riflettiamo davvero poco sull’impatto che queste innovazioni hanno sulla realtà oggettiva e fattuale delle persone che – nelle loro vesti di consumatori, cittadini ed elettori – fanno quotidianamente i conti con la pervasività dell’uso diffuso degli strumenti tecnologici.

La parola tecnologia può essere declinata in vari modi, ma il suo significato rimane legato alla sua etimologia: la parola è composta da due termini di origine greca, “techne” e “logos” ed indica che, come il linguaggio, anche la tecnologia fa parte integrante della condizione umana.

Oggi, però, la tecnologia è diventata tanto pervasiva e così diffusa da portare alcuni studiosi come Kevin Kelly a ipotizzarne l’autonomia, dovuta al flusso costante di informazioni che la caratterizzano e alla cultura a cui ha dato forma. Kelly usa il termine “technium” per descrivere una tecnologia diventata così potente da avere una sua vita autonoma e da essere diventata indipendente.

Il fatto è che miliardi di persone sono oggi dotate di smartphone che rappresentano vere e proprie protesi tecnologiche di se stessi e di applicazioni in grado di regalare esperienze virtuali e parallele di tipo digitale.




In concreto, questi sviluppi fanno temere che la tecnologia non sia più neutrale, ma stia riscrivendo il mondo intero, attraverso il potere dei produttori tecnologici e la tacita complicità degli utenti/consumatori. Se il software comanda, chi lo produce e gestisce comanda ancora di più, come la cosiddetta “banda dei quattro”: Google, Facebook, Amazon e Apple.

Grazie ai suoi algoritmi, il software – e la tecnologia più in generale – pone numerosi quesiti ad una riflessione filosofica e umanistica sulla libertà individuale, sulla democrazia, sull’identità, sul diritto alla privacy.

Il paradigma dello smartphone è il più illuminante, perché ha fornito l’illusione di poter comunicare con chiunque, sempre e ovunque. Esso ha volutamente riempito tutti i tempi morti della nostra giornata, le attese più o meno lunghe, i momenti di noia o di pausa. Da lì il passo è stato breve: perché, oltre a favorire un like al post di un amico, non proporre un acquisto semplice e immediato? Da utenti della tecnologia ci siamo trasformati in consumatori di tecnologia.

E se anche se non acquistiamo, mettiamo a disposizione gratuitamente i nostri dati.

Insomma, vale sempre la famosa citazione “se un prodotto è gratis, il prodotto in vendita sei tu”.

Non per niente su Facebook, le pagine personali e le pagine di aziende si presentano entrambe come vetrine in cui esporre i propri “prodotti” per attrarre l’interesse reciproco e con l’effetto collaterale di consentire l’immagazzinamento di miliardi di dati sulle nostre abitudini e i nostri interessi. Alcune caratteristiche antropologiche dell’essere umano – come il terrore della solitudine, della noia, la volontà di sapere cosa stanno facendo gli altri membri della propria cerchia, il voler sapere qualcosa, immediatamente, non appena il desiderio o la domanda si affaccia alla mente – sono sfruttate con grande abilità dalle grandi aziende che gestiscono i grandi sistemi

Certo, le problematiche di tipo etico sono parecchie e andrebbero affrontate con forse maggiore decisione, ma di certo la soluzione non può essere bloccare il futuro.

E’ comunque indiscutibile che, se quasi due miliardi di persone sono iscritte a Facebook, non possiamo far finta di non volerne sapere niente, perché significherebbe astrarsi volutamente da quel contesto. Se la società civile, e persino la politica, sempre più comunica attraverso Twitter, o se le Human Resources cercano candidati via Linkedin, non possiamo rifiutare a priori questi sistemi, perché il rischio è quello dell’auto-emarginazione.

Probabilmente la soluzione sta nella propria consapevolezza e conoscenza: è il singolo utente che deve esercitare un diritto di scelta consapevole, utilizzando i social network per “contaminarli” con il reale. Possiamo accettare che Facebook sappia di un viaggio fatto da qualche parte, ma prima dobbiamo essere consapevoli che esiste un algoritmo, del quale non abbiamo visibilità, che gestirà in un certo modo i post su quel viaggio, con fini che possono andare anche molto oltre quello specifico evento. Allo stesso modo potremo utilizzare Facebook per far sapere al mondo l’esistenza di un evento che ci sta a cuore e di contattare in tempo reale qualcuno che intende partecipare, traducendo un’occasione virtuale iniziale in un’occasione reale.

In fondo, possiamo essere certi che l’interazione umana non è stata ancora sostituita da quella tecnologica, ma con un buon uso dei social media le sue possibilità potranno senz’altro essere ampliate.

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