Giulia Carluccio: l’arte della fotografia come voce sociale

Giulia Carluccio è una ragazza di 26 anni e viene da Sannicola (LE). Nella vita fa la fotografa e si occupa di seguire le tematiche di carattere sociale: in quest’intervista abbiamo conosciuto lei, le sue idee, i suoi progetti completati finora e da portare a termine.

Una breve presentazione: chi è Giulia? Qual è stato il tuo percorso?

Io sono Giulia, ho 26 anni e in arte vengo chiamata ADV of Black Mamba. Mi occupo di fotografia e Visual Art, dunque di tutto quello che è immagine. Fra queste, di conseguenza, anche di grafica. Fra il 2020 e il 2022 ho svolto più corsi di studio: tra il 2017 e il 2022 ho frequentato l’Accademia di Belle Arti di Lecce laureandomi in triennale in editoria d’arte; parallelamente, dal 2018 al 2020 mi sono iscritta al corso di fotografia e design di LO.FT, sempre a Lecce, che oggi si chiama “Linea Project”. Nel novembre 2021 mi sono trasferita a Roma per seguire il master, “Firma Visiva” da Officine Fotografiche, fino al 2022. Una volta terminato e rientrata a Lecce, mi sono riscritta all’accademia per la magistrale e ora sto per laurearmi in grafica per la comunicazione.

Qual è l’obiettivo delle tue foto e del tuo lavoro?

Al momento, l’obiettivo è raccontare le persone che si raccontano. Io mi sono posta sempre come canale per raccontare le storie degli altri: i miei progetti non sono mai soltanto “miei”, i miei progetti sono “nostri”. Sono semplicemente un filtro: se tu hai bisogno di dire qualcosa, vieni da me, io filtro quello che hai da dire e lo riproduco in un’immagine. Mi piace essere il mezzo dell’emozione altrui.

Come crei la tua foto? Qual è il tuo processo creativo?

Per me il processo creativo è mettere tassello per tassello per, infine, creare l’opera. Il processo inizia quando cominci anche solo a pensarlo, quando cerchi di capire se può funzionare o a cosa ti può servire per realizzarlo. Il processo creativo è per me sempre molto emotivo perché io sono una persona molto sofferta e sofferente, anche se da fuori non si vede. Prendo sempre tutto molto di pancia. Per esempio, con uno dei miei progetti, “Essenza”, io voglio dare una voce a quelle persone che come me una voce non ce l’hanno mai avuta. Mettendo tante voci insieme, voglio creare una cassa di risonanza. Se la fotografia, a livello generico, punta all’estetica come la pulizia, la regola dei terzi, le proporzioni, io invece cerco l’emotività. Non mi interessa creare la foto pulita e perfetta o tecnicamente corretta, a me importa che essa faccia trapelare un messaggio, che comunichi che dietro agli occhi delle persone che fotografo ci sono delle anime.

Quando si va vedere una mostra, si osserva soltanto la foto finale. Io, invece, trascorro del tempo con chi ha posato: prendiamo un caffè, mi raccontano la loro storia, chi sono e da dove vengono. Si crea una sinergia molto potente: si ride, si balla, si piange. Escono fuori tante dinamiche che permettono la buona riuscita della foto.

Ci sono delle ragioni in particolare che ti hanno spinta a fare arte e a scegliere questo tipo di lavoro?
Credo molto nel fatto che le persone nascono con una personalità loro, già formata. Fin da bambina ho sempre avuto una personalità molto estrosa: quando ho detto a mia madre di voler fare l’artista, lei mi ha detto che lo sapeva prima di me: era palese che io avessi un mondo artistico dentro. Poi, l’adolescenza: noi siamo diventati adolescenti nell’era della bomba tecnologica. Ti ritrovavi a dover essere pronto ad essere esposto costantemente al giudizio degli altri, sia nel mondo reale che non, ovvero sui social, e io sono sempre stata molto presa di mira, sia per la mia personalità, il mio modo di fare, il mio non peso forma. una serie di dinamiche che mi hanno sempre fatta sentire molto sola, non capita. Quando è arrivata la fotografia, che è stato il mio mezzo per capire gli altri, ho scoperto che ce n’erano tanti come me. Mi è servito per filtrare le persone che erano simili a me e per capire che non siamo mai veramente soli. La mia arte nasce dal fatto di non voler far sentire soli gli altri, per non farli sentire come mi sono sentita io. Quando la gente viene a lavorare con me, io garantisco un posto sicuro dove siamo solo io, te e la macchinetta fotografica. Faccio questo perché io avrei pagato per avere un posto dove non sentirmi giudicata o soltanto ascoltata e capita.

Di questo ne ho fatto un lavoro nel momento in cui io ho acquistato la macchinetta fotografica nel 2019.

Qual è la foto alla quale sei più legata?

Dopo il Covid, io mi sono legata molto legata al mondo “drag” leccese e feci il primo set fotografico a Billie Kill e Alister Victoria. Tra tutte le foto, ce ne fu una che io chiamai “Pietà Drag”, un momento fra loro due che si guardano in maniera languida, tenendosi proprio come nell’opera della Pietà. Quella per me è stata la foto emblema, è la foto che mando di più quando partecipo ai concorsi, quella che racchiude maggiormente il mio lavoro fatto finora perché c’è della disobbedienza, c’è l’ambiente quel, c’è il drag, un tema che io affronto tanto, c’è’ emotività e un bacio non dato, una cosa che deve succedere ma che non è successa. Si crea tantissima tensione intorno a questa foto e per me racchiude tutto.

Scatto “Pietà Drag”, Giulia Carluccio

Perché la scelta di lavorare in bianco e nero?

Il bianco e nero per me è stata una scelta di cuore, non ci ho pensato neanche un attimo. L’ho scelto perché, oltre ad una questione estetica ed emotiva, ci ho sempre trovato una caratteristica importante, vale a dire che il bianco e nera annulla qualsiasi tipo di differenza e caratteristica. Quando vedi tutte le mie foto esposte, non si riesce a capire l’etnia, di che colore sono i cappelli di persona x, di che colore ha gli occhi la persona y. Serve a mandare esattamente il messaggio che voglio mandare, vale a dire che tutti sono liberi di essere se stessi, senza differenze, e che tutti hanno una storia da raccontare. Il colore lo trovo molto stucchevole: la fotografia da che mondo è mondo, storicamente, nasce in bianco e nero, e in bianco per me ha un altro tipo di valore. Togliendo il colore, tolgo tutto ciò che possa distrarti, facendoti guardare soltanto cosa ti sto mostrando, una persona ferita, innamorata o arrabbiata che sia. Se la persona sta piangendo, devi guardare che effettivamente sta piangendo, nient’altro.

Parliamo adesso dei tuoi premi e concorsi vinti.

Negli ultimi mesi ci sono stati dei bandi, concorsi e pubblicazioni alle quali ho partecipato e che ho vinto. C’è stato il premio “Emilio Notte” per i giovani talenti del 2024, per il quale, con l’opera “Pietà Drag” ho vinto sia un premio in denaro che un catalogo con la mia foto esposta.

Premio “Emilio Notte”

Poi c’è stato un contest riservato alle Accademie di Belle Arti di Lecce, Bari e di Napoli: il progetto si chiama “Food and Future” ed è stato concepito in virtù del fatto che ottobre è il mese della cultura italiana in America. A New York, infatti, esiste una casa italiana che prende nome di “Zerilli- Marimò” dove sono stati mostrati i nostri progetti incentrati sulla video arte: il nostro compito era quello di creare un video di 2, massimo 3 minuti, che valorizzasse il cibo italiano, le risorse e la sostenibilità. Approfittando di un viaggio che ho fatto quest’estate in giro per l’Italia, ho fatto delle riprese fra Roma, Bologna, Torino, Firenze incentrando tutto sulla pasta. Se penso all’Italia penso alla pasta.

Concorso “Food and Future”

Ognuna delle Accademie sceglieva 4 lavori, fra cui il mio, per l’Accademia di Lecce, e io sono quindi finita fra i 12 finalisti. L’11 ottobre sono stati mostrati questi corti al pubblico nella casa italiana di New York e io ho ricevuto una menzione di merito.
L’ultima soddisfazione è stata quella di essere stata scelta per la mostra “Art Forest”, curata da Nulla Art, per la mia opera “Body Memory”, che si terrà nella Foresta del villaggio di Arakapas a Cipro.

Prima hai parlato del progetto “Essenza”: ci spiegheresti, nel particolare, di che si tratta?

È un lavoro che porto avanti da 3 anni, dalla fine del 2021. Si tarda di 150 foto che ritraggono 150 persone diverse, scattate nel corso di questi miei set fotografici fino ad oggi. Di ciascun set, ho scelto la foto che fra tutte rispecchiava l’Essenza di quella persona. È un progetto che ho già portato in giro, ho fatto una mostra a Bitetto (BA) a giugno, per la notte di San Giovanni, in una chiesa sconsacrata della Madonna della Neve. Lì portai solo 30 foto perché è un progetto che sto ultimando. Il mese prossimo finirò di scattare per Essenza, prenderò del tempo per selezionare e post-produrre e a gennaio 2025 partiranno le mostre su questo progetto, ovviamente in bianco e nero. Al soggetto lascio carta bianca: chi vogliono essere, cosa vogliono comunicare, se vogliono oggetti di scena, come vogliono essere truccati, vestiti, pettinati. Scelgono anche il giorno in cui fare il set e poi firmano una liberatoria, la quale afferma che una di quelle foto sarà utilizzata per il progetto e, quindi, portata in mostra.

Progetto “Essenza”. Da destra Alister Victoria, Ellie, Emanuele Tocchini, Andromeda

 

Parliamo del tuo lavoro sui social. C’è una missione?

Quando ho iniziato a fare fotografia, ovviamente ho aperto un profilo Instagram perché questa è l’ondata, l’ondata social, e io l’ho accolta. Io sono stata subito apprezzata, ho iniziato ad avere tanto consenso, tanti like e commenti, tanti followers e soprattutto, fortunatamente, tante persone che venivano a scattare con me perché mi avevano trovata proprio lì sui social.

Mi trovo ad avere un’età in un periodo dove Instagram lo usiamo sempre e tutti: lavorando con l’ambiente della comunità LGBTQ+, c’è stata tanta cassa di risonanza perché ero già un’attivista per questi diritti, ma facendolo con la fotografia è stato un messaggio più forte che la semplice parola o lo scendere in piazza.

Poi è nato il Salotto di Mamba: durante la pandemia avevo impostato questo format su Instagram dove facevo semplicemente delle dirette con interviste poiché non potevamo incontrare nessuno. Adesso l’ho reso un progetto molto più serio che sarà pubblicato su YouTube e Spotify.

Progetto “Il Salotto di Mamba”, prossimamente su YouTube e Spotify

In questo salotto io inviterò le persone a raccontarsi e parlare di problematiche, attualità, arte, fierezze, libertà di essere se stessi. L’intento è parlare di questi argomenti anche fuori da una comunità, in modo da non parlarne solo fra chi queste cose le conosce. Il progetto uscirà a novembre: il salotto è sempre il mio studio, quelle quattro mura sono la cosa già “safe” che io ho e che posso donare.

Aurora Lezzi

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