BRINDISI – Il segretario generale della Cgil Brindisi Antonio Macchia interviene sulla vicenda del dormitorio di via Provinciale per San Vito, sollevata proprio dalla nostra testata.

“L’interesse mostrato in questi giorni dalla stampa locale per il “dormitorio” posto sulla Via Prov.le S. Vito non deve essere solo limitato a ricordare l’avvenuto cambio di gestione.

In quei locali, come emerge dai dati resi noti a seguito della visita effettuata nella presa di consegna, vi è uno spaccato di vita fatto per la stragrande maggioranza o forse proprio per la totalità, di uomini che cercano in tutti i modi un’integrazione con il nostro paese.

Il loro unico possedimento in genere è rappresentato da una bicicletta sgangherata, non sempre munita degli appositi segnali di posizione, che serve loro per spostarsi e per uscire dal ghetto in cui vengono confinati.




 Eppure quasi la totalità di questi ragazzi sono braccianti agricoli che lavorano nei terreni del nostro territorio, non lesinano lavori umili di ogni genere, e ciò nonostante non hanno la possibilità di integrarsi con il resto della società.

Da parte nostra possiamo  e dobbiamo   evitare che possano ricrearsi situazioni come quelle avvenute lo scorso anno nel foggiano _ incendio del ghetto in cui vivevano sfruttati dai caporali -, che tanto hanno scosso le nostre coscienze, ma che evidentemente non sono state ancora sufficienti a far comprendere che questa gente ha bisogno di essere integrata.

La legge 199/16 può aiutarci a combattere a monte il fenomeno del caporalato, ma il ruolo realmente determinante lo gioca la nostra società ed ognuno di noi nell’assumere un atteggiamento di collaborazione.

La CGIL ha combattuto strenuamente per ottenere una legge a tutela di questi ragazzi senza volto, e quotidianamente presidia  i luoghi che li avevano resi schiavi nella nostra terra.

Ma tutto questo non è sufficiente se non si mette in pratica la funzione programmatica della normativa approvata.

Nel caso di Brindisi non è sufficiente garantire una nuova guardiania notturna e una elencazione dettagliata delle presenze per garantire loro una vita dignitosa, tutt’altro.

Ciò di cui hanno veramente bisogno questi ragazzi,  fuggiti dall’orrore che vivevano nelle loro terre è l’accoglienza da parte di tutti, e la predisposizione da parte della nostra comunità di strutture che permettano loro una vita dignitosa.

Il processo d’integrazione è determinante soprattutto se si considera che molti  sono quotidianamente impiegati nei campi dei nostri territori.

Quindi,  affinchè lo stato di bisogno non li faccia cadere nella gestione illegale delle loro vite, è necessario che il tutto il Territorio – e con questo ovviamente intendo soprattutto la cornice Istituzionale locale –  si adoperi per consegnare loro un alloggio dignitoso – non un capannone industriale senza i minimi confort di un’abitazione civile –  ed una rete di trasporti che non li obblighi ad assoggettarsi al caporale di turno per un passaggio sino al luogo di lavoro o,  nel peggiore dei casi,  li obblighi a percorrere strade statali con i loro mezzi di fortuna.

Se poi a questo si riuscisse ad aggiungere anche un po’ di comprensione per la loro vita fatta di solitudine e povertà assoluta, il processo di integrazione potrebbe dirsi avviato”.




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