“Cecità” di José Saramago

Cosa accadrebbe se, in un luogo e in un tempo imprecisati della storia del mondo, l’umanità venisse sopraffatta dal dilagare di un’epidemia di cecità? José Saramago, lo scrittore, poeta e drammaturgo portoghese insignito nel 1998 del Premio Nobel per la Letteratura, prova ad immaginarlo nel romanzo Cecità (uscito nel 1995 in Portogallo, pubblicato poi in Italia per Feltrinelli nel 2010) e compone un affresco dai toni disperatamente foschi e violenti in cui degradazione, ferocia e crudeltà travolgono le fragili impalcature della convivenza civile.

Il mal bianco, il mare di latte che si para davanti allo sguardo degli uomini – cogliendoli d’improvviso nel bel mezzo delle consuetudini quotidiane, mentre si perfeziona un furto o la mente segue i tortuosi percorsi della speculazione o, ancora, al culmine dell’estasi erotica – sospende implacabilmente le vite degli anonimi individui che affollano queste pagine, gettandoli nella più cupa angoscia e nell’orrore della guerra contro i propri simili, allorché si è mossi unicamente dall’obbedienza irrazionale e primitiva alle istanze della sopravvivenza. C’è tuttavia una donna che continua a poter vedere e, il suo, sarà il destino più arduo: la moglie del dottore non vorrà rassegnarsi a vedere precipitare i suoi compagni nella bestialità più cruda (sempre «dentro di noi c’è una cosa che non ha nome, e quella cosa è ciò che siamo») e riuscirà con loro, e soprattutto con le donne del gruppo, a ricomporre un noi («siamo l’unica donna con due occhi e sei mani che esista al mondo»), a ripetere gesti antichi che hanno il sapore dell’umanità prima del collasso e ad affrontare con la vista l’abbrutimento del mondo per non perdersi, per non consentire a sé stessa di perdersi (pure quando nemmeno un potere di ordine superiore abbia più occhi per assistere al buio della ragione). Ed è da qui che si riparte nella ricerca della conoscenza: dalla consapevolezza che «non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo. Ciechi che, pur vedendo, non vedono» si può ricominciare a fondare l’umanità – adesso forse finalmente sensibile al prossimo e alle profonde ragioni del convivere. Un richiamo al tema edipico della cecità che non può essere trascurato: tanto simile è la tensione del figlio di Laio verso la conoscenza attraverso la paura, come pure il duplice valore della verità – morte e rinascita al tempo stesso. E a Saramago riesce di imbrigliarci nella sua trama, avvolgendo il lettore nell’intricata rete del suo periodare complesso, che insegue e dà fiato ai ciechi mentre pone domande universali sulle forme del nostro essere qui.

Diana A. Politano

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