“Almanacco del covid e divagazioni”: l’intervista di Ilaria Solazzo allo scrittore Adriano Sconocchia

Parlare di Covid in un libro incline all’umorismo non è cosa semplice. Ma i drammi dell’umanità vanno sempre inquadrati nella natura effimera dell’essere umano che, in un modo o nell’altro, sembra comunque in grado di affrontare la sua precaria esistenza. E per affrontarla, l’umorismo è essenziale, una sorta di medicinale salvavita, che però non deve mai offendere i sentimenti. Il suo compito è quello di sfidare, con rispetto e gentilezza, la cruda realtà, cercando di addolcirla quando (ahimè troppo spesso) questa si trasforma in dramma. Sì, perché, in qualche modo, bisogna pur risollevare le sorti di un’Umanità che sembra aver smarrito la retta via. Detto ciò, con questo libello, potrete farvi qualche crassa risata riflettendo sui molteplici e bizzarri aspetti della quotidianità, che accompagnano ciascuno di noi nel corso della propria esistenza (e della mia, in particolare, raccontata in questo libro).

Intervista

Ilaria Solazzo, giornalista pubblicista e blogger, ha intervistato per noi, lo scrittore Adriano Sconocchia.

Quali sono le fonti di ispirazione di cui ti servi quando scrivi?
La Storia, la cronaca, le persone incrociate e conosciute durante la mia vita. Difficilmente dimentico un volto oppure una caratteristica peculiare di quelli con cui sono venuto in contatto. Se una persona mi ha colpito (positivamente o negativamente) me la porto dentro per sempre (almeno fino a quando i miei meccanismi cerebrali decideranno di assecondarmi).

Parti sempre da esperienze reali, autobiografiche oppure anche dalla tua immaginazione?
La mia storia personale e le esperienze vissute incidono notevolmente. Sicuramente anche la fantasia gioca il suo ruolo e interagisce spesso contaminando la realtà.

Quali sono per te le influenze reciproche fra letteratura e vita?
A me capita spesso di inquadrare gli episodi di vita quotidiana come se fossero un capitolo di un libro che si sta scrivendo. Cioè, mi capita frequentemente di decontestualizzare (bella sta parola che hanno tirato fuori in questi ultimi anni, ce se possono fa’ tante cose!) il singolo fatto che sta accadendo, e di cui magari sono anche protagonista, dalla arida realtà di quel momento, e provo a immaginare un suo sviluppo futuro (lo so, probabilmente necessito di una visita neurologica a breve)

Che cosa significa per te “credibilità” da offrire ai lettori?
Beh, quando mi avventuro in romanzi storici oppure in uno dei miei saggi, il riscontro con la realtà storica deve essere rigoroso e ligio perché il lettore ti ritenga credibile (anche se ultimamente si leggono al riguardo cose inenarrabili). Quando invece si va sulla pura narrazione di fantasia, una storia, sia fiction che fantasy, deve comunque mantenere una sua coerenza narrativa per essere credibile (sì lo so che state commentando: “ma questo che s’è bevuto prima dell’intervista?”)

Pensi che la scrittura possa avere delle proprietà terapeutiche?
Enormi. La paragono alla Pet terapy, cioè il benessere che ti dà il contatto con un animaletto domestico. Ecco, quando prendo in mano un libro, lo annuso e lo sfoglio io provo una sensazione simile. Certo se poi è anche bello da leggersi si può raggiungere l’orgasmo.

Qual è il libro cui è sei più affezionato?
Limitarmi ad un solo libro è difficile. Diciamo che l’Opera al Nero di Marguerite Yourcenar è uno di quelli che mi ha colpito di più perché è un grande romanzo storico (la storia di un immaginario alchimista del Cinquecento) raccontato con l’impareggiabile e incredibile stile narrativo di questa immensa scrittrice. Ma l’elenco sarebbe ovviamente molto più lungo, se mi ricordassi i libri che ho letto. Dovrei consultare la mia discreta biblioteca casalinga perché non ricordo quasi mai i titoli e soprattutto molto poco le trame, ma ricordo che quel libro o quell’altro mi aveva molto colpito.

Ricordi la prima storia che hai scritto da quando è affiorata in te la passione per la scrittura?
Anzitutto io ho imparato a scrivere decentemente in tarda età, diciamo verso la Cinquantina, perché prima ero una vera zappa illeggibile (i miei professori ne sanno qualcosa). Inizialmente scrivevo testi teatrali e sceneggiature fallimentari di film irrealizzabili. Poi, a forza di leggere, ho iniziato ad imparare a raccontare storie perché, se uno non ha un talento innato, leggere molto è l’unico metodo per imparare a scrivere.  Ma la mia prima storia di un qualche spessore è stato un racconto, Il sogno di Barilot, una vicenda fantastica mista alla cruda realtà storica del Nazismo.

Qual è stato il primo libro che hai letto da adolescente che ti ha colpito particolarmente e perché?
Dunque, io ho cominciato a leggere molto tardi, verso i diciotto anni, perché da piccolo leggere era per me una vera tortura. I primi libri che mi hanno trafitto i sentimenti sono stati le poesie dei poeti maledetti, Baudelaire, Mallarmè, Rimbaud e Verlaine (l’adolescenza è una meraviglioso quanto ignobile periodo della vita). Poi sicuramente il ritratto di Dorian Gray di Wilde e il Piacere di D’Annunzio, tanto che a quell’età, di domenica mattina, andavo in bicicletta al Pantheon a sorseggiare un aperitivo al bar mentre leggevo quei libri (capite che soggetto ero?). All’epoca mi avventurai anche nelle Recherche di Proust (il primo volume e poi stop)

Chi è il tuo scrittore preferito? Puoi sceglierne più di uno e di tutte le epoche.
Silone, di cui ho letto molti libri, Vassalli, Bacchelli, e poi Vargas Llosa, Frenzen, Roth, Murakami, ma te li dico così a volo d’uccello.

Quale scrittore o libro ha influenzato il tuo lavoro di autore?
Non saprei dire, ma anche se lo sapessi non lo direi mai (sai che figura ci farei?!)

Se tu potessi fare un regalo all’umanità per cosa opteresti?
La curiosità per tutto ciò che è cultura e arte, in tutti i suoi aspetti.

Un tuo sogno nel cassetto è…?
Mah, prima mi dovrei comprare una scrivania… Scherzi a parte, mi piacerebbe che alcune delle mie storie potessero avere una maggiore diffusione. Intendo sia le cose divertenti che ho scritto (suscitare il buon umore oggi lo ritengo un dovere civico), sia le vicende più drammatiche di cui mi sono occupato nei saggi e nella narrativa, perché l’umanità tenga sempre presente le tragedia in cui lei stessa è incorsa nelle epoche passate.

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