Come tutte le storie di band del garage accanto, anche quella dei salentini CAMDEN ha avuto inizio grazie alla musica che li ha mescolati già nel novembre 2009. Il progetto parte da un’idea comune di Massimo Munitello (basso), la front-womanEster Ambra Giannelli (voce e chitarra) e Gabriele Turso (batteria) per omaggiare in chiave acustica la musica inglese dagli anni 60 ai nostri giorni. Da qui il nome “Camden”, come quel quartiere alternativo di Londra dove si sono sviluppati diverse correnti musicali importanti. La pubblicazione del primo singolo “On Liberty” nel 2011, anticipa la realizzazione dell’album inedito intitolato “Welcome to Camden”che sboccia il 30 aprile 2012. Da quel momento i Camden si sono esibiti in Italia e nel Regno Unito, ma tra le performance “degne di nota” ricordano con orgoglio l’ apertura di Vasco Brondi de Le Luci della Centrale Elettricain concerto alle Officine Cantelmo di Lecce. Nell’ambito della rassegna Vetrine Inedite di Brindisi del 2012, la band si è classificata al primo posto. Nel giugno 2015, i Camden pubblicano finalmente il loro secondo “figlio” intitolato Album Giallo.Siamo andati a “braccarli” come si fa con gli “animali interessanti” al solo scopo di saperne di più e farli conoscere o riconoscere nella nostra Brindisi ed in tutti i posti in cui girerà virtualmente l’intervista. Ve li raccontiamo con qualche domanda irriverente.
- Come avete familiarizzato?
Vivendo allo stesso modo e apprezzando le medesime situazioni ricreative (pub, locali, circoli o associazioni), ci siamo confrontati scoprendoci più in fondo. Abbiamo deciso subito di unirci, quasi come una scintilla delle relazioni sentimentali. Abbiamo preferito il trio ad altri organici perché l’incipit di questo percorso è stata la situazione acustica. L’idea era quella di riproporre i grandi classici della storia del rock Inglese che precludesse, però, una nostra personale rivisitazione. In quel periodo (2009), pensavamo di poterci riuscire con quella formula che permetteva di suonare in più posti senza troppi “sbarramenti”. Quando abbiamo avvertito l’esigenza di una evoluzione, io e Massimo abbiamo imbracciato gli strumenti elettrici alzando il volume degli “ampli”, Gabriele ha abbandonato le fruste ed è ritornato a picchiare un pò più duro (visto che proveniva già da realtà Heavy Metal/Crossoverndr). Per un brevissimo periodo, abbiamo coinvolto un altro chitarrista, il quale, però, ha lasciato la band quasi subito. Dopo quella esperienza nessuno ha più fatto parte dei Camden, se non noi tre.
- Sulla base di quali influenze avete improntato testi e sound dei Camden?
I brani dei Camden sono il prodotto degli innumerevoli ascolti di ciascuno di noi tre e del tentativo di sfuggire alla banalità della discografia odierna che affronta sempre meno questioni sociali, preferendo il target dei problemi di cuore, alimentando così quella falsa credenza che siano i sentimenti ad unire le persone sotto uno stesso brano, piuttosto che tutto ciò che si materializza ogni sacrosanto giorno sotto i nostri occhi.
- Quanto è difficile nell’ attuale realtà musicale distinguervi con inediti senza strimpellare cover per il bene auricolare dei chiusi conservatori?
La risposta a questa domanda la puoi cercare sia nei programmi musicali dei locali dal giovedì alla domenica, troppo pieni di coverband di “serie Z” che, pur di mettere il becco in un quattrino, scomodano mostri sacri della musica senza averne la reale voglia effettiva di farlo (parliamo della sopravvivenza economica del musicistandr). Purtroppo sono del tutto ignari dei gruppi inediti che vorrebbero e potrebbero dire qualcosa, anche nella totale inesistenza di circoli culturali che dappertutto Hanno l’obbligo di sostenere queste meravigliose realtà.
- Quali sono i vostri punti di forza e qual è la base di una vostra riconoscibile unicità?
In tutti questi anni ci siamo scoperti pian piano, amati, odiati, apprezzati reciprocamente e capito quali fossero i nostri rispettivi limiti: pur senza un soldo e senza il sostegno di “pezzi grossi”, siamo ancora qui da otto anni con due album pubblicati a nostre complete spese e un terzo in gestazione; rispondiamo a queste domande che, evidentemente sono mosse da un qualche interesse nei confronti del nostro mondo. Con tutti i litigi di ieri e domani, quando ci troveremo di nuovo in sala-prove avremo sempre un buon pretesto per darci degli “stronzi” e donarci dei “vaffanculo” gratuiti. Poi tutto finirà in una bolla di sapone. Come in una famiglia tradizionale.
- Primo disco in inglese, perché non in lingua madre?
Hai presente quando hai 15 anni, frequenti il liceo, fumi una sigaretta nel bagno dei maschi, ti scopre il preside e ti sospende? Bene. Più o meno si è trattato della stessa cosa. Io e Massimo abbiamo sempre avuto un occhio di riguardo nei confronti degli Anglosassoni. Ci siamo detti: “ “Proviamoci!” La scrittura in Inglese in effetti fa da ottimo paracadute: poche parole tutte molto eufoniche, facilità di comunicazione ed è estremamente diretta. Chissà che non si apra uno spiraglio al di fuori del nostro povero Paese che soffre da anni di complicazioni legate al diabete dei temi amorosi ricorrenti dentro testi assegnati ai brani degli interpreti neiTalent-Show. Il risultato? In Italia non ti vogliono perché “non ti capiscono”, mentre nel Regno Unito già nel 2004 c’erano quei nanerottoli degli ArcticMonkeys che puzzavano di latte, ma aprivano in due i culi della gente, facendole strappare i capelli con il groove ed il fare grezzo che emanavano. Negli Stati Uniti invece c’era Rihanna. Dove pensavamo di andare? In sostanza: una “gradassata” pensare di poter competere a livello internazionale. Però ci abbiamo creduto. D’altronde, hai 21 anni una volta nella vita.
- Qual è stata la prima grande soddisfazione che vi ha trasmesso l’entusiasmo d’essere apprezzati, avere un seguito e cercare di potenziarlo?
Suonammo i nostri inediti dinanzi a 5000 persone alle Officine Cantelmo di Lecce prima che si esibisse Vasco Brondi de “Le Luci della Centrale Elettrica” nel lontano 2010. Non avevamo nemmeno l’idea del primo disco. Eravamo strampalati e impauriti. Ma piacemmo un sacco e quella fu la nostra prima grande opportunità.
- E’ vero che le anime artistiche italiane devono puntare anche e soprattutto sui proventi di mestieri paralleli?
Purtroppo non sappiamo di chi sia la colpa, ma la situazione è molto triste. Più di pensare che in luoghi come il Regno Unito o gli USA tu saresti stato uno scrittore famoso e noi musicisti affermati, forse, la causa è che siamo nati e cresciuti in un’ epoca sbagliata. Viviamo un tempo in cui anche chi non ha un talento straordinario può mettersi in mostra con la rete ed i social. Vi è una sorta di mancata selettività che infligge il colpo mortale alle reali espressioni artistiche. Attualmente, chi ha il talento per vivere d’arte, sente addosso una sorta di rassegnazione e tutto ciò fa soffrire perché probabilmente, qualche decennio fa, fecero fortuna band che valevano meno di noi. Ad oggi suoniamo di notte, ma alle 8 del mattino siamo ai nostri rispettivi posti di lavoro, da sempre. Tuttavia, personalmente, non andrei a suonare nelle tribute-band dei Modà per guadagnarmi da vivere. (sorride ndr)
- Perché avete chiamato “Giallo” il secondo Album e perché avete deciso di virare sui testi in italiano?
“Giallo” è il filo rosso che ha unito tutto quello che ha portato alla pubblicazione del disco: Gianluigi “Giallo” Giorgino che ci ha sostenuti in ogni modo nel suo GialloStudio. “Giallo” come il colore della scelta e del cambiamento. La lingua dei testi ed il sound per l’appunto! I fossili rimangono tali nei millenni, i musicisti no! Di fatti, le differenze tra i due album sono tangibili fin dalle prime note.
- Quali sono state le canzoni più ispirate e da quali altri featuring vi siete avvalsi?
“Giallo” Giorgino è stato il talent scout di molte doti che nemmeno sapevamo di avere. Le ha fatte emergere con le sue grandi capacità inserendole nell’album. Giulio “Nomea” Falconieri ci ha prestato la propria “diversità” stilistica (é un rapper) incastrandola sui distorsori in maniera eccellente. Persone come Nicola “CeraLacca” Landriscinae Fulvio Palese ci hanno resi partecipi di tutta la loro decennale esperienza prestandosi alla nostra follia. Siamo stati molto fortunati ad aver condiviso qualcosa con tutti loro.
- Un briciolo di rock teatrale dei Massimo Volume in “Emancipata società”, la new wave dei primi Baustelle in “Equilibrio del terrore”, i testi seriosi e ricercati. Quindi la vostra non è solo una passione! Dove volete arrivare?
Senza alcuna pretesa e con tutta la modestia di questo mondo, non ambiamo a contratti discografici multimiliardari o al palco di Sanremo. Speriamo solo di poter vivere anche solo da lontano il panorama Indie italiano.
- Su dai, quanti altri pezzi custodite nel vostro cassetto indie del comodino della nonna?
La nonna di Gabriele (nostro batterista ndr), da ottima cuoca, nei cassetti dei comodini, probabilmente nasconde i peperoni che friggerà domani a pranzo (sorride ndr). Invece noi siamo ancora reduci da una seduta di Maieutica nella quale abbiamo cercato di partorire nuove strade musicali da percorrere.
- “Corri come puoi” è una bellissima ballata orecchiabile, quasi una ninna nanna cantata e suonata da un sax, un pianoforte e tre farabutti dolcissimi. Forse non a caso chiude l’album. Questa in particolare a chi la dedicate?
Parafrasando un celebre consiglio in dialetto delle nostre parti, “quandu viti lu male paratu, scappa!”, questo brano l’ho scritto pensando a quanto si rimane intrappolati troppo spesso nell’illusione e nella staticità della quotidianità e quanto faccia timore il cambiamento. Paure immotivate come la pretesa di salvare il salvabile, in questo caso riferendoci alle relazioni amorose.
- Con quale big sognate di condividere il plettro?
Se andiamo avanti così, possiamo solo sperare di riuscirci con i RollingStones. (sorride ndr)
- Quale frase del vostro disco è più opportuna per lasciarci in pace?
In “Singolare Iniziativa” mi sono presa il lusso di adattare le parole di Sandro Pertini in musica. Noi giovani “non abbiamo bisogno di sermoni, ma solo di buoni esempi di onestà, di coerenza e altruismo”.
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Contatto stampacamdentrio@gmail.com
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Emanuele Vasta Redazione |