Il mare è custode di storie e tradizioni antichissime, testimone delle speranze dei molti uomini che lo hanno vissuto e solcato. Se c’è un segno a Brindisi del legame indissolubile tra l’uomo e il mare, è la chiesa di Santa Teresa degli Scalzi che, dalla fine del ‘600, veglia sul golfo della città. Volendo lavorare di fantasia, sembra che il mare abbia suggerito le forme sinuose della facciata barocca, onde di pietra sospinte dal vento della fede. Il sole che nasce nel golfo di Brindisi ne ritocca, da artista sapiente, le tonalità, creando un bicromismo perfetto tra le lesene di carparo, i capitelli, le bianchissime volute che sembrano conchiglie e i due pinnacoli ai lati del second’ordine, i faraglioni che smorzano la violenza delle onde. Nelle vicinanze, anonime palazzine popolari che il tempo e la salsedine hanno consegnato a un evidente degrado. Stride il contrasto con la bellezza dell’imponente facciata di Santa Teresa. In una storia recente che siamo spesso portati a non considerare, si decise di abbattere le antiche case del quartiere delle Sciabiche, la zona della città dove vivevano i pescatori. Non è l’unico scempio ai danni di una città che, nel 1956, si vide privata della settecentesca torre dell’orologio in piazza della Vittoria, “Lu tirloci ti la chiazza”, per fare spazio all’anonimo palazzo dell’INPS. Quattro anni più tardi, la ferita più dolorosa: il teatro “Giuseppe Verdi” progettato da Pergolesi a fine ‘800, che sorgeva maestoso in piazza Cairoli, all’angolo tra corso Umberto I e via Palestro. Se osserviamo attentamente il perimetro del marciapiede tra corso Umberto, via Masaniello, via Mazzini, via Palestro e piazza Cairoli, è ancora possibile riconoscere la sagoma di una meraviglia perduta per sempre, a causa di una politica poco attenta alla bellezza e alla cultura. Tornando al quartiere Sciabiche, ogni mattina, animati da grande speranza, quegli uomini lasciavano le proprie famiglie nelle casupole colorate che si specchiavano nel mare, per salire sui caratteristici “schifarieddi” con la rete “a sciabica” sulle spalle. Mentre si allontanavano verso il mare aperto, una preghiera a Sant’Andrea, protettore dei pescatori, perché “lu mari” fosse benevolo con loro. Un mondo semplice e genuino che la smania di progresso ha rapidamente spazzato via.
Nella terza cappella laterale destra di Santa Teresa (osservando dal presbiterio), troviamo un pregevole dipinto raffigurante Sant’Andrea. La particolarità è nell’elemento in basso a destra, una fotografia “avant la lettre” di ciò che i brindisini vedevano all’epoca e che possiamo vedere anche noi: è il castello alfonsino, che fu costruito in epoca rinascimentale sull’isola di Sant’Andrea, dove ancora oggi troviamo i resti dell’antica abbazia benedettina dedicata al santo, abbandonata nel ‘400. Il dipinto si trovava originariamente nell’antica chiesa di Sant’Eufemia, sede della confraternita dei marinai, che, negli anni successivi al 1671, sarà abbattuta per fare spazio al nuovo complesso di Santa Teresa commissionato da Francesco Monetta. La facoltosa famiglia Monetta, di lontane origini albanesi (trapiantata a Brindisi in seguito all’invasione ottomana dell’Albania), si fece promotrice di una dignitosa sede dell’ordine dei carmelitani scalzi. Questi, in cambio del suolo, promisero alla confraternita una delle cappelle. Sant’Andrea, per l’appunto.
L’interno della chiesa, con pianta a “crux immissa”, è un mirabile esempio di stile barocco, secondo in Brindisi, forse, solo all’esuberante chiesa di San Paolo Eremita, anticamente retta dai francescani. Si nota in modo evidente l’influsso che ebbe la grande produzione artistica nella vicina Lecce. Anzi, si racconta che nel progetto intervenne Giuseppe Zimbalo, “Lu Zimbarieddhu” che, a partire dal 1658-59, aveva dato forma alla grandeur del vescovo di Lecce, Luigi Pappacoda, nella straordinaria fabbrica del Duomo di Santa Maria Assunta, del campanile e della piazza circostanti. I raffinati ceselli che ornano la piccola cupola della prima cappella laterale sinistra (dedicata a Santa Teresa d’Avila), congiungendosi nel bassorilievo del Padre Eterno, sono l’elemento decorativo più bello della chiesa, mai scontati nelle suggestive e fantasiose forme che intrecciano. Qui troviamo alcuni evidenti riferimenti alla pittura di Luca Giordano nelle tre tele del leccese Serafino Elmo.
In una delle cappelle sono, invece, le statue in cartapesta di “Κοσμάς καὶ Δαμιανός” (in greco “Kosmàs kài Damianòs”), i Santi Medici a cui faceva capo un’altra importante confraternita, attiva a Brindisi fin dal 1826. Le statue furono traslate dalla chiesa degli scolopi, dedicata a San Michele Arcangelo, e il culto dei Santi Medici riprese in Santa Teresa sul finire dell’800. La confraternita, estinta nel XX secolo come tutte le altre brindisine, ci ricorda il forte senso di appartenenza a una comunità: era davvero importante per queste persone avere un luogo dove proseguire la loro devozione, attraverso non solo la costruzione di luoghi di culto, ma, spesso, lodevoli opere filantropiche. Il sogno dell’infaticabile don Mimmo Roma, parroco della Cattedrale, è che, negli anni, qualche confraternita possa rinascere, come testimonianza di un importante passato di fede e tradizione.
Campeggia in controfacciata una buona Educazione della Vergine di scuola napoletana, attribuibile a Francesco Antonio Altobello. Se il panneggio fluente di San Gioacchino rimanda alla maniera di Cesare Fracanzano (allievo di Jusepe de Ribera, detto lo “Spagnoletto”), il dinamismo della scena e l’uso del colore non possono non ricordare, ancora una volta, Luca Giordano.
Ma Santa Teresa non è solo barocco: troviamo infatti opere dell’800 e persino del ‘900: è il caso, per esempio, delle tele di Lucillo Grassi e del barese Umberto Colonna, quest’ultimo figlio del più noto Nicola Colonna. Numerosi i palazzi e le chiese decorati dai Colonna in terra di Bari: si ricordi, su tutte, la volta della bellissima chiesa barocca di Santa Maria del Suffragio, a Castellana Grotte, affrescata da Nicola nel 1917. Segno che, fino a non molto tempo fa, l’idea, contemporanea, delle chiese come musei immanenti che non devono subire modifiche nel tempo, non era per niente contemplata da confraternite, ordini monastici e ricchi committenti. Le chiese erano il luogo in cui si svolgeva la vita spirituale e civile della comunità cittadina, quindi dovevano rispecchiare i gusti artistici dell’epoca e soddisfare le esigenze del committente, che non sempre era “elegantiae arbiter”, per dirla con Tacito. A Santa Teresa, Umberto Colonna, nel solco della lezione della pittura veneta sulla potenza espressiva del colore, realizza, tra le altre, il Cristo in trono sulla parete di fondo del presbiterio e la solenne Gloria dei Santi Medici sulla volta a cassettoni della navata.
Il bel coro ligneo, di fattura probabilmente settecentesca, è l’ennesimo elemento di valore in una chiesa che si sviluppa dal basso verso l’alto come una composizione musicale barocca: il “tema” è dato dal ricco pavimento con inserti marmorei, gli altari, gli stucchi e i ricami sono le “progressioni”, i divertimenti intermedi che anticipano la “cadenza” finale, la meraviglia della volta, il cielo stilizzato dove gli occhi dei fedeli si levano in preghiera. Accanto alla chiesa, il sobrio convento dei Carmelitani, trasformato nell’800 in caserma e sede della Carboneria brindisina negli anni dei primi moti insurrezionali in Italia, che oggi ospita l’archivio di Stato. I carmelitani lasciarono la città una prima volta in epoca napoleonica e, definitivamente, dopo l’Unità d’Italia, quando i beni ecclesiastici furono confiscati dal Regno. Bisognerà attendere gli anni ’60 perché le presunte visioni mariane in contrada Jaddico permettano la costruzione di una chiesa e il ritorno dei padri carmelitani in terra di Brindisi. Un primo restauro di Santa Teresa – ci spiega Katiuscia Di Rocco, responsabile della biblioteca e dell’archivio diocesani – completato un decennio fa, sembra non aver risanato la struttura, che oggi richiede un nuovo intervento che dovrebbe partire nelle prossime settimane. Un bando indetto prima della pandemia, che prevede anche degli studi e un laboratorio per gli allievi delle scuole di restauro lapideo. Certo, non basta restaurare un edificio per accrescere l’interesse della cittadinanza verso la bellezza che Brindisi custodisce nel silenzio. L’auspicio è che il restauro di Santa Teresa sia colto dalle istituzioni locali come un’opportunità per rilanciare turisticamente una delle città più belle d’Italia, da troppo tempo in un limbo, una palude d’indifferenza che la rende decadente. Ma, nonostante tutto, di straordinario fascino. Gli urgenti lavori a Santa Teresa servono a preservare una struttura dal valore artistico e umano infinito come la fede di quei marinai, la cui preghiera risuona ancora nella navata come musica d’organo.
Sebastiano Coletta