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Altro giro altra riforma. Sembrerebbe questo l’argomento tanto caro ai candidati delle prossime consultazioni politiche ed ai loro rispettivi programmi.

Già qualche settimana fa, cercai di commentare ed interpretare il pensiero del Presidente INPS, Tito Boeri, secondo cui, qualsiasi riforma o pianificazione per le future generazioni aventi diritto la pensione, non potrà non  tener conto delle entrate contributive procurate “anche” dai lavoratori extracomunitari.

Da quanto leggo, nessun programma dei suddetti candidati pone l’accento ad esempio, sull’incidenza della natalità e della sua crisi che, inevitabilmente, comporterà un inesorabile invecchiamento del nostro Paese.

Venendo a mancare “un saldo positivo vivi meno morti” pertanto, anche le casse dell’INPS potranno registrare un pericoloso deficit. Quindi, la migliore medicina al riguardo sarà una politica rivolta alle famiglie, perché senza di essa – a parte i problemi legati alla fertilità… – non potranno mai raggiungere l’obiettivo di coniugare il desiderio di procreare con la personale soddisfazione di affermarsi nel campo del lavoro. Per aiutare le attuali e future famiglie bisogna creare servizi di supporto alla nascita, crescita ed al mantenimento di un bimbo che, secondo statistiche, costerebbe circa 15.000 euro all’anno.

Qualcosa è stato fatto, come ad esempio, il “bonus bebè”, ma è ancora troppo poco per invogliare le giovani coppie alla procreazione, specie in un periodo di crisi come quello attuale.

Tuttavia, tornando al discorso pensionistico, i nostri politici immaginano, ognuno per proprio conto, un futuro scenario e conseguentemente le misure che adotterebbero in materia.

Lega e Movimento 5 Stelle sarebbero propensi al ritorno del vecchio sistema – cioè ante Fornero – sebbene con punti di vista differenti riguardo le quote. Per quote si devono intendere requisiti pensionistici pari a 100 o pari a 41, e di conseguenza, rispettivamente alle varie combinazioni di anni di età più anni di contributi ( esempio 60 anni e 40 di contributi, 65 anni e 35 di contributi ) e, idea secca invece per i 41 anni di anzianità contributiva.

In realtà l’idea della quota 100 fu proposta dall’ex Ministro Damiano.

Ad ogni modo, i due partiti sarebbero d’accordo sull’ipotesi di collegare “la quota 41” all’età anagrafica e, ciò potrebbe rappresentare il requisito pensionistico di chi raggiunge i 59 anni di età con i 41 di anzianità contributiva.

Da questa ipotesi si è allontanata Forza Italia ritenendo l’operazione azzardata e costosa, in pratica coglie al volo l’indice emerso recentemente in tema della speranza di vita.

Liberi e Uguali rivolge l’attenzione verso le donne e vorrebbe salvaguardare l’anzianità contributiva anche per i periodi durante i quali esse siano state in maternità.

Il Partito Democratico invece, intende proseguire con i capisaldi della riforma del 2011 e con quanto concordato con i Sindacati nel settembre 2016, stabilizzando gli interventi già attuati tipo l’APE e, la stabilizzazione di “Opzione Donna” con una nuova (la nona) salvaguardia. Quindi piccoli passi verso l’obiettivo di garantire un minimo di pensione pari a 650 euro fino a 1.000 in base ai contributi versati. Non trascurando, secondo i progetti, meccanismi favorevoli alla contribuzione volontaria.

Posso aver interpretato male ciò che ho letto e che qui ho riportato. La colpa non è mia, perché capire cosa si dice in giro in questo periodo è davvero difficile.

Rag. Giancarlo Salerno

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