NAPOLI – NEW YORK: un film che è lezione di vita

Succede sempre più raramente di uscire dal cinema dopo la visione di un film con l’anima alleggerita, ed è questo il sentimento provato alla fine di Napoli – New York, l’ultimo lavoro cinematografico del grande regista Gabriele Salvatores.

Su soggetto dell’indimenticabile Federico Fellini, il film affronta con delicatezza e onestà temi attualissimi, pur svolgendosi alla fine degli anni 40 del secolo scorso: la migrazione, la povertà, il razzismo e la diffidenza, la violenza di genere, l’ingiustizia.

Il film si sviluppa attorno l’ingiustificabile solitudine e sofferenza dei due bambini protagonisti – di una bravura assoluta – percependo i sentimenti di smarrimento, ma anche di speranza e mutuo aiuto che riescono ad arrivano dritti al cuore dello spettatore. È un film di cui avevamo bisogno, per questo bisogna andare (oserei dire correre) a vederlo, per gustarlo e portarlo a casa dopo averlo assaporato. In qualche intervista Salvatores ha affermato di non volersi mettere in cattedra facendo questo film, eppure abbiamo tutti da imparare da questo racconto. Perché i dati della storia, quella vera, ci dicono che tra il 1861 e il 1988 sono stati quasi 30 milioni (!) i cittadini italiani che hanno attraversato l’oceano Atlantico per arrivare negli Stati Uniti d’America nell’inseguire il “sogno” di una vita diversa. Dignitosa. Lasciavano il Paese natio per le profonde disparità scaturite, prima con la fantomatica “unità italiana”, poi con le assurde guerre mondiali e infine per le crescenti disuguaglianze tra Sud e Nord.

Ed ecco che, guardando questo film, la storia del passato rispecchia amaramente quella presente, con le sue incongruenze e la sue cattiverie – oggigiorno amplificata rispetto a quell’epoca dall’uso indiscriminato e incontrollato dei social divenuti autentici sfogatoi e propagatori di odio. E nasce legittimamente la domanda su cosa abbiamo realmente imparato dalla storia? Pare davvero ben poco, se siamo arrivati a questo evidentissimo punto di disumanizzazione, dove lo straniero (l’immigrato) è divenuto l’oggetto da usare come spauracchio e il responsabile di tutti i problemi, facendo passare così assolte le politiche fallimentari dei vari governi e organismi internazionali, che sono gli unici e autentici responsabili. Se tutto questo è dato in pasto alla dilagante ignoranza il gioco è fatto. Per rinfrescare la logorata e inquinata memoria, nella narrazione del film, è riproposto un testo datato 1912, tratto da una relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso Americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti. Conviene rileggerlo con estrema attenzione.

“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano anche perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno e alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina, ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini, quasi sempre anziani, invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano, non solo perché poco attraenti e selvatici, ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro Paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, di attività criminali. Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi nel comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano purché le famiglie rimangano unite e non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell’Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione.”

Se volessimo tradurlo nell’attualità, leggiamo nitidamente i proclami politici ed elettorali di tanti politici “nostrani” e leader mondiali, peccato però che i protagonisti non siano i poveri disperanti che attraversano il Mediterraneo, o i tanti e troppi che ci muoiono, ma sono stati magari i nostri bis nonni o parenti, “orgogliosamente italiani”, ad essere umiliati con queste terrificanti parole e diaboliche convinzioni. Parole che dimenticano il motivo che genera il fenomeno dell’immigrazione, ieri come oggi, e cioè le guerre, le persecuzioni, la fame, le catastrofi naturali, ecc…

Eppure il film ci consegna un grande messaggio di speranza: la solidarietà tra gli umani è possibile anzi è necessaria. Di fronte al dilagante messaggio di intolleranza, di paure, di isolamento e difesa sbattutoci in faccia soprattutto dalla televisione, si ha la necessità di guardare ancora con ottimismo alle relazioni, di confidare nella compartecipazione e comprensione delle sofferenze dell’altro. Possiamo riassumere in una sola frase: lo “straniero” rappresenta per noi, per me, un “problema” oppure un'”opportunità”? Credo non sia possibile scegliere l’indifferenza perché lo straniero, è già qui, e bussa alla nostra porta senza essere stato invitato, arrivato perché costretto appunto da molteplici fattori di cui i nostri paesi occidentali e industrializzati sono in parte responsabili.

Non posso non concludere questa mia riflessione non citando Colui che più potentemente ha scardinato la nefasta idea di supremazia e di intolleranza. Il Vangelo di Matteo (25,31-46) così scrive:

“In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: … «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”…“In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a Me”.

La lettura di queste Parole sono l’antitesi perfetta di quella ignobile relazione sopra citata e l’annientamento dei pensieri populisti dilaganti dei tanti politici e no che impudentemente si autoproclamano cristiani, ma che sono lontanissimi da questa verità umana prima che di fede.

Andiamo al cinema, sperando che a questo nuovo gioiello cinematografico gli sia riconosciuta l’importanza che merita (l’Oscar?), ma soprattutto arrivi a renderci più umani, sempre più umani. Imponiamoci di spegnere la TV propagandista, con i suoi programmi inquinananti e allarmistici e decidiamo di concerderci la possibilità di imparare da questa “lezione” che il Cinema (ancora) riesce a darci. Chi ha scelto il mondo per confine è libero e non sarà mai clandestino…

Davide Gigliola

 

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