L’ANGOLO DEI LIBRI – “Un brav’uomo è difficile da trovare” di Flannery O’Connor

Flannery O’Connor, dopo decenni che non hanno del tutto riconosciuto il suo precocemente scomparso talento creativo, è ormai ritenuta una delle più significative e peculiari voci della narrativa statunitense, cantrice – in particolare – del Sud delle campagne disabitate, delle piccole città polverose, delle esistenze ambulanti di predicatori e venditori porta a porta, di contadini avidi, di empori sperduti. Le inquietudini e le perversità di contrade in  apparenza immobili trovano espressione nei suoi libri e vengono ritratte per come appaiono, mostrate nella loro concretezza semplice e cruda, somministrate al lettore in quanto segni, in negativo, del divino. Un brav’uomo è difficile da trovare è la raccolta di racconti che, pubblicata nel 1955, impose la O’Connor come la maggiore esponente del gotico sudista: l’editore minimum fax l’ha da poco riedita, consentendo dunque al lettore italiano di recuperare a pieno l’intensità della sua opera. Questi dieci racconti costituiscono infatti un passaggio privilegiato all’universo della scrittrice georgiana che, in ciascuno di essi, restituisce micromondi in cui gli eventi si concatenano tragicamente inerti e dove dominano violenza, ipocrisia, deformità fisica o psichica quali indizi di quel peccato originale che continua inesorabile ad affliggere l’umanità. I personaggi (di cui non è dato conoscere pensieri, perché qui la letteratura è, come si diceva, concreta e si astiene da qualunque approfondimento psicologico) sono spesso segnati da una distorsione fisica o mentale (una ragazza con una gamba artificiale, un predicatore folle), da una rabbia profonda per lo squallore della propria esistenza, da incurabili apatie, dalla doppia moralità «da brava gente di campagna». Aspramente cattolica, Flannery O’Connor ha costruito racconti attorno all’assenza totale di qualunque forma di amore, rifuggendo l’idea di una letteratura che potesse risultare rassicurante e salvifica: non vi è amore tra genitori e figli, non vi è tenero desiderio, bensì rapporti che fanno della rabbia, del disprezzo, della prevaricazione il proprio cardine. Sullo sfondo di atmosfere desolate e aride, la sensazione è che «il marciume del mondo stesse per fagocitare» ogni cosa, ad eccezione – forse – dei cartelloni che, lungo il bordo della strada, ammoniscono al pentimento: in fondo, «la vita che salvi potrebbe essere la tua».

Diana A. Politano 

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