L’ otto marzo e il giorno dopo – di Raffaella Ricci

Non so se questo otto marzo sia passato in sordina solo per me, complice la lunga pandemia, la stagnazione economica prima, la recessione dopo, l’aumento della spesa pubblica, il recovery fund che avrebbe dovuto salvarci, l’aumento del costo dell’energia, la Russia in guerra contro tutti.

Davvero non lo so e non so neanche se invece è colpa del disincanto dell’età.

Diciamoci la verità, l’otto marzo non è più quello di quando eravamo così piene di entusiasmo, come i bambini davanti alle nuove scoperte,proiettate con il cuore leggero verso un futuro che ci pareva poter toccare con mano e ci sentivamo finalmente libere di affermare noi stesse, ognuna a suo modo naturalmente.

Ora, qualunque fosse il nostro modo di viverlo,non abbiamo più tanta voglia di ripetere gesti, parole, riti ormai entrati nel novero della consuetudine. E così, il nostro giorno, è diventato uguale a tutti gli altri.

In fondo non facevamo che ripetere che non doveva esserci solo un giorno per le donne, per il rispetto, per i diritti, per la parità, ma tutti i giorni di tutti gli anni.

Anche se, a mio parere, un giorno straordinario di testimonianza, di memoria, di affermazione del nostro diritto a essere uguali, si è appiattito in un rassegnato quotidiano. Forse abbiamo dimenticato che siamo ancora a metà della corsa e qualcuno sposta la linea d’arrivo sempre più avanti.

Ma torniamo al nostro giorno.

A parte le feste e le serate trash senza gli uomini da una parte, i cortei e gli striscioni dall’altra,di cui si conserva appena una vaga memoria, dell’otto marzoè rimasta la versione edulcorata, superficiale e consumistica, un po’ come la festa di San Valentino o della mamma, con le valanghe di messaggini su WhatsApp, una mimosa, fiorita o dolce che sia, da parte del partner, un articolo in terza pagina o un servizio alla fine di un telegiornale.

Dobbiamo esserci perse qualcosa per strada.

È un po’ come quando invecchiando si perde la meraviglia che avevamo negli occhi fanciulli, si perde la magia, il desiderio, la prospettiva, e ci troviamo costrette a guardare la realtà. Una realtà in cui siamo sole a combattere contro un sistema che resta non inclusivo e intimamente maschilista, che rimane per noi come una montagna da scalare a mani nude.

Però, lasciatemelo dire, anche se probabilmente ci sarà una levata di scudi, siamo noi stesse a disperdere le nostre forze in battaglie marginali, degne senza dubbio, ma non al punto da richiedere tutte le nostre energie. Quella relativa all’introduzione e all’uso di nuovi sostantivi declinati al femminile ne è un esempio. So che le parole diventano modo di pensare e abitueranno le nuove generazioni a guardare il mondo con occhi diversi, ma prima di allora dobbiamo continuare a lottare per sconfiggere quel maschilismo latente che alberga nella testa di molti uomini di oggi, per avere davvero le loro stesse opportunità, per poter raggiungere ruoli apicali nelle aziende private così come nelle amministrazioni pubbliche, e non lo faremo cambiando la vocale finale alle parole, ma cambiando noi stesse.

Parliamo tanto di sorellanza e dell’amicizia come rapporto elettivo, ma spesso riusciamo a essere le peggiori nemiche delle altre donne, di quelle che magari faticosamente ce la stanno facendo, di quelle che sacrificano tutto per raggiungere un obiettivo, di quelle che, facciamo fatica ad ammetterlo, sono più in gamba di noi.

Utilizziamo, con un’ostilità inauditacomportamenti traditori e inquinanti,azioni sporche e cattive, giudizi sprezzanti, parole sussurrate alle spalle, senza renderci conto del danno che stiamo facendo a noi stesse e alla nostra causa.

Non so quali siano le ragioni che ci spingono a essere rivali, ognuna di noi, se vuole davvero andare oltre deve avere la forza di guardarsi dentro, deve avere il coraggio di affrontare i propri mostri, di superare i propri limiti e riuscire acambiare se stessa oltre i sostantivi.

Lavoriamo su questo, sul nostro riuscire a essere migliori di ciò che siamo affinché l’8 marzo non sia un giorno come gli altri, ma tutti i giorni siano l’8 marzo.

Raffaella Ricci

 

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