“In nome del Popolo Italiano”. Gli ottant’anni dall’uccisione di Mussolini

Il 28 aprile 1945, esattamente 80 anni fa – dinanzi a un anonimo cancello di una villa sul Lago di Como – con diverse pallottole, fu messa fine alla vita del dittatore italiano Benito Mussolini, mentre codardamente fuggiva dalla “patria” verso la Svizzera con il suo bel bottino d’oro. Il partigiano che materialmente lo uccise, prima di sparare, pronunciò queste parole: in nome del popolo italiano, per rendergli giustizia, quasi a decretare una scelta resa ormai collettiva, dal susseguirsi degli eventi.

Il ricordo di oggi è il prolungamento naturale della festa del 25 aprile, giorno in cui il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia proclamò l’insurrezione generale in tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti, imponendo la resa giorni prima dell’arrivo delle truppe alleate e dando inizio di fatto alla fine della dittatura e l’alba del sospirato termine della guerra. Una “liberazione” che è l’anima della nostra identità e storia e che non può in alcun modo essere svilita, taciuta o “riletta”. È il giorno in cui gli italiani riscoprono il valore della pace, delle democrazia e della libertà.

Sono impresse nella memoria collettiva di questo Paese le immagini del corpo sfigurato di Mussolini appeso a testa in giù, assieme alla sua amante e ad altri gerarchi fascisti in piazzale Loreto a Milano. La rabbia dei milanesi fu incontenibile tanto da deturpare in maniera atroce quel corpo che solo poco tempo prima rappresentava “l’italica mascolinità”, pavoneggiando ferrea sicurezza. Colui che aveva governato l’Italia con tracotante delirio di onnipotenza appariva finito e ostentato quasi a riassumere la disfatta di tutte le scelte scellerate fatte. Solo per ultima quella di aver portato l’Italia nella carneficina del conflitto mondiale, connivente e complice della follia nazista, oltre a quella di aver prodotto l’annientato della democrazia.

L’odierna ricorrenza storica apre perciò ad una lettura più profonda, che dovrebbe essere utile per analizzare l’angosciante tempo presente che il mondo sta attraversando.

C’è da interrogarsi sui motivi per cui le folle oceaniche cinematograficamente e “magistralmente” narrate dalle voci di regime e di propaganda, radunate anni prima in piazza Venezia a Roma, si siano trasformate (relativamente in breve tempo) nella folla inferocita di piazzale Loreto a Milano, in quella moltitudine che non mostrò nessuna pietà nel deturpare il cadavere dell’uomo che prima acclamava “duce”, rendendolo un corpo esamine a mò di fantoccio, che non incuteva più alcuna paura.

Le conseguenze della guerra, le promesse non mantenute, l’annientamento di ogni forma di opposizione, l’instaurazione del terrore, le nefaste condizioni economiche, sono solo alcuni dei motivi per cui la folla milanese con i partigiani in testa, agirono con la consapevolezza di operare per conto di tutte quelle mogli rimaste vedove, delle madri e dei figli rimasti orfani, degli ebrei snaturati nella loro dignità di uomini, dei cattolici (solo quelli più autentici) che non si lasciarono abbagliare dalla bugia del motto “dio, patria, famiglia” (il minuscolo è voluto), dagli operai rimasti senza lavoro, dei giovani privati del futuro, di un intero Paese reso senza identità.

La mia, oltre che una lettura politica, vuole essere una lettura storica perché solo con essa si può (e si deve) comprendere in pienezza la verità e l’evidenza storica di quegli anni è netta e chiara e prescinde dalle nostalgiche e incomplete letture di chi ha il coraggio di esaltare, o peggio emulare, quella che è stata certamente – fino ad ora – la pagina più sporca e terrificante della storia italiana. Il passato ci insegna quindi che quando le speranze e gli entusiasmi dei popoli – soprattutto quando serpeggia forte il malcontento – non vengono soddisfatte, o peggio vengono deluse, trasformano la venerazione o la lobotizzazione delle menti in feroce rabbia, senza appello e scampo di alcuna misericordia.

Ricordando perciò oggi l’uccisione del dittatore Mussolini fa bene menzionare la fine ingloriosa che hanno fanno tutti quelli del suo calibro: Gheddafi in Libia, Saddam Hussein in Iraq, Ceaușescu in Romania, solo per fermarci al recente passato, ma gli esempi nel corso del tempo sono tanti e non conoscono differenza geografica.

Se Mussolini fosse sopravvissuto alla furia della folla, avrebbe certamente subito un legittimo processo dalla restaurate e liberate autorità giudiziaria, ma fu irrimandabile la decisione di procedere all’uccisione di Mussolini, non è morta purtroppo quell’idea politica che lui fondò e impose, nella quasi totale passività del Re Savoia (e aimè si è avuto l’ardire di riabilitarli…), del Parlamento e della società civile, mentre sul martirio di Matteotti – unica voce coraggiosa levatasi contro la deriva fascista – c’è soltanto da imparare.

Se avessimo veramente imparato qualcosa dalla storia nessuno in Italia e nel mondo vorrebbe mai che in alcun modo da quelle ceneri risorgesse anche un solo alito di “vita”. Eppure, evidentemente la profonda ignoranza pare nutrire stuoli, anzi “squadre”, di frustrasti, che farebbero di tutto per rivedere quei tempi (oscuri) che invece si spera, non potranno tornare più. Non basterà scimmiottare o evocare insistentemente “spiriti” defunti e i negromanti della nostalgia faticheranno sempre a voler restaurare tempi di repressione, che nulla hanno prodotto di buono. Nulla!

Auguriamoci invece che, lavorare ed educando sulle coscienze, i tempi siano talmente maturi, che quel cadavere appeso a testa in giù, se non trasmette sentimenti di compiacimento, almeno ricordi a tutti che: Sic semper tyrannis (“Così sempre ai tiranni“),  come esclamò Bruto nell’atto di assassinare Giulio Cesare. I tiranni hanno fatto e faranno sempre una fine orrenda, cosi come è stato per Mussolini.

La metamorfosi che trasforma gli applausi scroscianti di Piazza Venezia agli sputi e calci incontenibili di Piazzale Loreto è un attimo, direi che è quasi naturale della natura umana la mutevolezza delle idee e convinzioni … Lo ricordi soprattutto chi stupidamente riesce ancora a credere nelle menzogne presentate come possibilità di crescita o addirittura di democratica libertà.

Davide Gigliola

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