BRINDISI – La stagione del Nuovo Teatro Verdi prosegue a vele spiegate. Ieri sera è andata in scena la commedia “Molière: la recita di Versailles”, originale rappresentazione teatrale prodotta dal Teatro Stabile di Bolzano, che ha visto il geniale Paolo Rossi vestire i panni del capocomico di una frizzante compagnia.

La pièce s’ispira allo spettacolo che Re Luigi XIV, senza preavviso alcuno, richiese al commediografo Molière per allietare la serata dei suoi ospiti.

Paolo Rossi, con l’ausilio di Massini (autore) e Solari (regista), ha voluto riproporre le difficoltà affrontate nel mettere in piedi una commedia in fretta e furia, ovvero nel barcamenarsi tra la necessità di produrre un testo originale, l’addestramento dei membri più giovani della compagnia e, soprattutto, l’esigenza di trovare il giusto compromesso nel messaggio da inviare all’esterno.

Il Molière portato in scena, infatti, sembra vivere con angoscia la sua posizione di privilegiato – in quanto ospite del Re Sole nella reggia di Versailles – mentre fuori da quelle mura il popolo arrancava.

moliere

Nel commediografo francese, però, non si sopì mai quello spirito dissacrante ed irriverente che lo accomuna a Paolo Rossi, il quale non ha perso l’occasione di trasporre tutto ciò nel suo spettacolo. In esso ritroviamo riferimenti ed invettive contro i poteri precostituiti, ovvero, per dirla con un termine attualmente in voga, contro l’establishment politico ed ecclesiastico.

Lo spettacolo si pone essenzialmente l’obiettivo di squarciare i veli dell’ipocrisia, dell’illusione, e consegnare al pubblico un distillato di autenticità. Frequenti sono stati i rimandi all’opportunità non più eludibile di agire senza infingimenti, senza dissimulazioni.

In apertura di spettacolo, Rossi ha spiegato il rapporto indissolubile che si crea tra attore, personaggio e persona, i quali si mischiano fino a confondersi e confondere se stesso e gli altri; a tal proposito, efficace è risultato il riferimento alla maschera di Arlecchino, la quale modifica i connotati fisici ed interiori di chi la interpreta.

Ciò che ne viene fuori è l’incapacità dell’attore di discernere tra “il suo essere” e la rappresentazione teatrale, tanto diviene compenetrata la persona dal personaggio recitato.

La maestria dei tre autori sta tutta nell’aver efficacemente trasposto questo stato confusionale nel testo, e quindi sul palco, attraverso l’arte dell’improvvisazione di cui Rossi è maestro. In realtà, va rimarcato come il caos sia soltanto uno strumento narrativo, di rappresentazione, oltre il quale vi è un lavoro che richiede una disciplina quasi militare.

E’ così che: tra un’improbabile Papa Orgone (detto “il Che”) in versione catto-comunista, che sovverte tutti i dogmi della Chiesa (ottimo il riferimento al veto sugli affidamenti alle coppie gay, quando invece dovrebbe essere posto sui genitori ‘Ndranghetisti); riferimenti alla politica attuale, con una stoccata a Grillo che da comico si è ritrovato a capo di un partito; lazzi e sberleffi; risate procurate dalla tracimante comicità di Rossi; viaggi nel tempo e momenti di riflessione, il pubblico, durante tutto l’arco dello spettacolo, viene risucchiato in una spirale, sospeso tra finzione, realtà ed improvvisazione.

L’obiettivo dichiarato da Rossi, con il suo spettacolo, era quello di non fornire riferimenti allo spettatore, così da spiazzarlo, rifuggendo dalle classiche e prevedibili rappresentazioni teatrali. Quest’ultime, infatti, si adagiano su interpretazioni anacronistiche, superate dalla realtà di tutti i giorni, dove, secondo Rossi, ci sono professionisti e politici che recitano meglio degli attori professionisti.

Per quanto visto a Brindisi, si può sostenere che l’obiettivo è stato pienamente raggiunto.

 

Andrea Pezzuto
Redazione

LASCIA UN COMMENTO