“Sonata a Kreutzer”: la passione nel grande spartito della vita

La passione è la linfa vitale dell’uomo. Indomabile, travolgente, struggente, la passione è la determinazione di Elena che sceglie di seguire Paride a Ilio, è la disperazione di Didone che vede Enea allontanarsi per mare e si trafigge con la spada. E’ l’amore impossibile di Paolo e Francesca come di Giulietta e Romeo. E’ la gelosia di Vasja Pozdnyšev, scatenata dal sentimento di un violinista verso sua moglie, che sembra ricambiarlo. Il romanzo breve di Tolstoj, “Sonata a Kreutzer”, e la passione, al centro di una serata salentina dedicata alla musica e alla bellezza. Sul palco della fortunata edizione 2021 della rassegna “Classicheforme” – frutto della creatività della pianista Beatrice Rana – giovani musicisti che il talento consacra al successo.

La pianista Beatrice Rana durante il concerto

Lo scorso 23 luglio, “Serata a Kreutzer”, nel chiostro del Rettorato di Lecce (antico monastero dei Carmelitani), si è cominciato con il “Trio élégiaque” n. 1 di Sergej Rachmaninov, opera giovanile riemersa postuma, espressione di un romanticismo adolescenziale che non tradisce il Rachmaninov più maturo dei grandi concerti per pianoforte e orchestra. Un’introduzione leggerissima, quasi impercettibile, sublime, degli archi, lascia presto spazio alla melodia del pianoforte. Beatrice Rana carezza la tastiera con tocco preciso e determinato, imprimendo nel suono perfetto una marcata personalità, che avvolge l’ascoltatore in un turbine di emozioni profonde. La malinconia lugubre della Sonata risente ancora degli influssi tardo-romantici di Čajkovskij – al quale Rachmaninov era molto legato e dedicherà, dopo la morte, il secondo “Trio élégiaque” – e sembra, in qualche modo, dipingere con pennellate rapide e dense quella “Madre Russia” così cara a tutti i russi. E’ un Rachmaninov prudente, quello del “Trio élégiaque” n. 1, ancora manieristico, che solo in seguito sceglierà di esasperare gli schemi tradizionali, di attraversare un secolo, l’800, per farsi portavoce dei dubbi, delle incertezze, delle paure, delle speranze del ‘900, con lo straordinario “Concerto per pianoforte e orchestra” n. 2: il tema della fiducia che torna ad affacciarsi nella vita del compositore dopo tanta delusione e amarezza. Un invito a non arrendersi, a credere sempre in sé stessi, a nutrire la speranza anche quando, intorno, è solo il vuoto. La crisi del romanticismo nella seconda metà dell’800 accomuna Rachmaninov all’altro protagonista della serata, il ceco Leóš Janáček. Il “Quartetto” n. 1 trasforma in musica i “moti dell’anima”, per dirla con Leonardo, che Lev Tolstoj evidenzia “dostoevskianamente” nel suo “Sonata a Kreutzer”, pubblicato nel 1889. Un’analisi amara e moralistica della società, dove la violenza è l’effetto di una passione cieca non mitigata dalla ragione. Il freddo vagone di un treno fa da cornice a una storia tragica, che l’umana fragilità eleva a dramma dell’incomunicabilità. E Janáček, ormai maturo, riesce a dare voce ai personaggi del romanzo, pare di vederli in scena, ora strumenti alla ricerca disperata dell’armonia della vita. L’estroso e ardito Andrea Obiso, giovane primo violino dell’orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, e la sensibile Liya Petrova, dotata di un controllo magnetico, energico ma pacato dello strumento, hanno interpretato, con falcate virtuosistiche e delicate al tempo stesso, una delle pagine più complesse della musica contemporanea: Janáček, in una sorta di pessimismo verso la società, presta molta attenzione alle avanguardie europee. Accostabile in qualche modo all’espressionismo, la poetica di Janáček sembra ricercare nel canto popolare una risposta al desueto romanticismo, nel solco, mutatis mutandis, degli esperimenti di Bartók e Musorgskij. Ma è senza dubbio la “Sonata per violino e pianoforte” n. 9 in la maggiore di Ludwig van Beethoven, l’esecuzione più attesa della serata. Ci si sarebbe aspettati, come di consueto, la presenza di Beatrice Rana al piano, se non fosse stata scelta una particolare trascrizione per quintetto d’archi. Si dice – ma resta un’affascinante ipotesi non condivisa da tutti gli studiosi – che Beethoven, non soddisfatto del risultato acustico ottenuto con la fusione del pianoforte e del violino, abbia deciso di sostituire il pianoforte con altri quattro strumenti ad arco. Per di più, il quintetto d’archi formato da due violoncelli al posto di due viole, era stato largamente utilizzato da Boccherini, che certo Beethoven – o chi per lui – tenne presente nella trascrizione, accentuando notevolmente il pathos e il valore lirico della Sonata, ora più vicina ai canoni classici, ma decisamente spogliata di quello spirito preromantico che anima il pensiero e la poetica del Beethoven titanico della 5° Sinfonia o dell’Egmont Overture. La passione che ci ha accompagnato sin qui trova compimento nella Sonata “A Kreutzer”, composta nel 1802-1803 e inizialmente destinata al violinista mulatto George Bridgetower, che seppe impressionare Beethoven per la sua tecnica brillante e inappuntabile, oltre che per la capacità di eseguire a prima lettura e di improvvisare, che gli avevano procurato in Europa fama di grande virtuoso. Una trovata giornalistica, non avvallata da alcuna fonte, ma di certo avvincente, vuole che la definitiva dedica al francese Rodolphe Kreutzer (che mai la suonò) sia dovuta a una contesa amorosa tra Beethoven e Bridgetower, da cui ne sarebbe uscito vincitore il secondo. Il contrasto acceso tra pianoforte e violino rivoluziona totalmente lo stile della sonata già nelle prime battute dell’Adagio sostenuto e del Presto. Una domanda iniziale, a cui segue un discorso sempre più intenso e passionale, l’agognata ricerca di amore nelle difficoltà della vita. La trascrizione per quintetto d’archi venne pubblicata dalla casa editrice di Bonn, Simrock, nel 1832, a cinque anni dalla morte di Beethoven. Non sappiamo se Beethoven abbia davvero scritto una versione alternativa della Sonata, se abbia almeno supervisionato il lavoro di trascrizione. Interessante, in ogni caso, il dialogo tra la viola di Grégoire Vecchioni, raffinato interprete della musica da camera, con gli altri strumentisti e, in particolare, con Ludovica Rana e Pablo Ferrandez. Sorella minore di Beatrice, Ludovica dimostra un’ottima padronanza espressiva del violoncello, che si unisce al coraggio armonico di Pablo Ferrandez, entrambi sicure promesse della scena internazionale. Un evento che s’inserisce in una rassegna di ampio respiro, portata avanti con tenacia – e, sì, grande passione – dalla famiglia Rana e la cui prima edizione è stata insignita della medaglia del presidente della Repubblica Italiana. Un auspicio di rinascita, che, in questo momento, è una carezza lieve sul cuore. Ospite inattesa, la luna, silenziosa e indifferente, che saliva alta nel cielo per abbracciare il campanile e la cupola maiolicata del Carmine, capolavoro di Giuseppe Cino, tingendo di ambra e speranza la pietra leccese e rischiarando il cammino dell’uomo.

Sebastiano Coletta  

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1 COMMENTO

  1. Meravigliosa recensione: il lettore non può che percepire tutti i riflessi acustici di un mirabile evento musicale. E le parole depositano nel cuore la vera speranza che la musica e i giovani accenderanno di nuova bellezza il mondo.

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