“Resoconto” di Rachel Cusk

Resoconto (Einaudi) è il romanzo di Rachel Cusk finalmente pubblicato in Italia, primo di una trilogia che proseguirà con le traduzioni di Transit (2016) e di Kudos (edito nel Regno Unito l’anno scorso). Si tratta di un libro che ha per protagonista la scrittrice Faye, invitata a svolgere un corso estivo di scrittura creativa ad Atene: lontana dai figli e dall’eco di un matrimonio finito con un divorzio, la donna si apre all’ascolto partecipe del mondo e delle sue voci, rendendosi strumento che ne diffonde le storie e le vibrazioni. Il tempo che trascorre nell’afosa capitale greca è scandito incessantemente dagli incontri con gli studenti del corso, con gli scrittori, con l’uomo che sedeva accanto a lei durante il volo che da Londra l’ha condotta lì: ciascuno di costoro ha una trama da raccontare, un conflitto famigliare da sbrogliare, una relazione amorosa o un legame filiare su cui interrogarsi, oppure soltanto un presente che appare critico e opaco.

Faye è lì, si pone in ascolto e riporta le parole degli altri e gli abbondanti flussi di coscienza, lasciando spazi solo marginali all’emergere della sua, di vita – e tuttavia facendone presagire i segni del disincanto e la piega di qualche rimorso. Se Jeffrey Eugenides si è espresso sul romanzo affermando che «chiusa l’ultima pagina, hai la sensazione che qualcuno ti abbia rivelato la verità raccontando tutto e niente al tempo stesso», la critica si è spinta ad individuare nel libro un riuscito esempio di sperimentazione sul genere romanzo: nel punto in cui narrazione e tradizione orale convergono, sembrerebbe possibile trovare una modalità nuova per raccontare il nostro tempo e i temi di questa contemporaneità. Sullo sfondo dei luoghi e delle atmosfere che hanno fatto da culla al mito, ecco che si affollano voci nuovi, resoconti autentici di ciò che possa voler dire vivere. In chi ascolta (o, come noi, legge) non vi è il desiderio di portare conforto o giustificazioni, piuttosto l’auspicio che l’ascolto possa rivelare qualcosa su chi siamo e aiutare a riempire di contenuto la sagoma che col tempo abbiamo prefigurato di noi stessi: «in altre parole andava facendo il resoconto di ciò che lei non era: di ogni cosa che diceva di se stesso, lei riscontrava nella propria natura l’equivalente negativo. (…) Ma per quanto il contenuto rimanesse ignoto, quella sagoma le dava un’idea della persona che era adesso».

Diana A. Politano

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