BRINDISI – E’ una delle campagne referendarie più combattute degli ultimi tempi (neppure quella del 17 aprile scorso, sulle trivelle, aveva creato tanta discussione). Esponenti di spicco del parterre politico nostrano si stanno mobilitando per raggiungere ogni parte del Paese, a sostegno dell’uno piuttosto che dell’altro voto.

Anche a Brindisi è sentito più che mai il voto del 4 dicembre prossimo sulla seconda parte della nostra costituzione. C’è chi vorrebbe bocciarla chi, invece, vorrebbe approvarla. Non c’è destra e sinistra; perché alcuni esponenti di destra (la maggior parte sono per il No) pubblicizzano il Sì, così come alcuni appartenenti alla sinistra italiana (la maggior parte sono per il Sì), sono fermi sostenitori del No. Pure le forze di Governo sono spaccate.

E’ uno scontro trasversale che supera anche gli schieramenti politici ed ideologici. Tanto si è detto e tanto altro ancora si dirà. Ma siamo sicuri che si abbiano le idee ben chiare sulle motivazioni del No e quelle del Sì? Spesso, i politici interagiscono con i cittadini in ‘politichese’, dimenticando, il più delle volte, di avere l’obbligo di far comprendere appieno un ragionamento, un discorso o, in questo caso, la motivazione del voto agli elettori. La gran parte del centrosinistra vorrebbe che questa riforma rimanesse così com’è, perché dopo quasi 30 anni, l’Italia, sostengono, avrebbe la sua giusta dimensione politica. Dal canto suo, il centrodestra, quasi all’unisono, vorrebbe ‘spedire a casa Renzi’ (citazione espressa ed ascoltata da molti politici e cittadini). Proviamo a fare un po’ più di chiarezza sul voto del 4 dicembre, data in cui saremo chiamati alle urne.

Le ragioni del No:

La riforma Boschi-Renzi andrebbe nell’esatta direzione opposta a quella del taglio dei costi della politica. Ad essere tagliata sarebbe solo la democrazia partecipata. Non supererebbe il bicameralismo perfetto, anzi, lo renderebbe più confuso e creerebbe conflitti tra Stato e regioni e tra Camera e Senato. Moltiplicherebbe dieci volte di più i vari procedimenti legislativi, incrementando la confusione. Diminuirebbe sì i costi del Senato, ma solo di 1/5, ed allora perché non dimezzare i deputati alla Camera e abolire l’intero Senato?Quest’ultimo sarebbedi composizione variabile, in relazione alla durata dell’incarico dei sindaci e dei Consiglieri Regionali, i quali rivestiranno anche la carica di parlamentari e godranno dell’immunità parlamentare. Non ci sarebbe nulla di innovativo in questa riforma, continuano a sostenere, ma si rafforzerebbe ancora più il potere centrale, a danno delle autonomie, private dei dovuti mezzi finanziari. Ridurrebbe notevolmente il ‘potere’ degli enti locali, in primis delle regioni, a favore del Governo centrale. Amplierebbe da 50.000 a 150.000 le firme per i disegni di legge di iniziativa popolare. Non sarebbe una riforma legittima, perché partorita da un parlamento eletto con una legge elettorale incostituzionale (Porcellum). La tanto millantata sovranità popolare non esisterebbe, perché consegnerebbe l’intero potere ad un minoranza parlamentare, tenuta in piedi solo dal premio di maggioranza. Con questa riforma, sempre secondo i sostenitori del No, si consentirebbe il passaggio di potere dal Parlamento al Governo; ossia una democrazia basata sull’esecutivo, che di democratico, avrebbe ben poco. Difatti, i cittadini non sarebbero più chiamati a votare i senatori, che, invece, sarebbero eletti in seno ai consiglieri regionali.

Le ragione del Sì:

Questa riforma snellirebbe le istituzioni e consentirebbe al Parlamento di rispondere in prima persona ai bisogni dei cittadini. Ridurrebbe notevolmente il numero dei parlamentari e taglierebbe definitivamente alcuni enti del tutto inutili; abolendo il Cnel, si otterrebbero notevoli risparmi. Correggerebbe la riforma del 2001 del titolo V, che ha arrecato problemi alle imprese e che ha fatto sorgere una serie di conflitti tra Stato e Regioni. Si dovrebbe dire addio al bicameralismo perfetto; dunque, non si assisterebbe più a quel ping-pong tra Camera e Senato, ottimizzando, così, i tempi del legiferare. Sarebbe solo la Camera a votare la fiducia al Governo. Grazie al referendum propositivo ed alle modifiche del quorum referendario, si migliorerebbe la qualità della democrazia. Il Senato fungerebbe da ‘camera di composizione’ tra Governo centrale ed enti locali, diminuendo, così, i casi di contenzioso tra Stato e Regione dinanzi alla Corte Costituzionale. Questo referendum rappresenterebbe un passo avanti per il sistema politico italiano e per il suo farraginoso processo legislativo, garantendo, così, maggiore stabilità ad un Paese che ha visto il susseguirsi di ben 63 governi negli ultimi 70 anni.

Importante è sapere che questo referendum non è affatto abrogativo e, quindi, non ci sarà bisogno di raggiungere il quorum. Infatti, diversamente da quello dello scorso 17 aprile, ‘vincerà’ l’opzione (Sì o No), cioè la maggioranza dei consensi di uno o dell’altro voto, a prescindere dal numero dei votanti.

Il 4 dicembre prossimo saranno gli elettori a sentenziare. Questa la massima espressione della democrazia. Ed è per questo che la nostra redazione, in questi giorni, ha lanciato un sondaggio, al fine di capire non solo l’orientamento al voto, ma anche se i cittadini si sentono sufficientemente informati sulla questione.

Tommaso Lamarina
Redazione

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