Lo stilista pugliese Gerri Errico firma la casula del nuovo arcivescovo di Napoli

Si è insediato ieri il nuovo arcivescovo di Napoli, don Mimmo Battaglia, un prete semplice, forte e carismatico che con la sua umanità, è da sempre vicino ai più fragili. Nel giorno del suo insediamento nel Duomo di Napoli, nel centro storico  di Napoli, monsignor Battaglia ha indossato una preziosa casula ed una mitria realizzata dallo stilista pugliese Gerri Errico, originario di Cerignola (prov. di Foggia) e a rendere ancora più prestigioso il ruolo del giovane stilista è  stata l’ispirazione ad una parabola di Don Tonino Bello, simboleggiando una croce che abbraccia, in uno stile sobrio, semplice, lineare, fine e solo per questo evento solenne. Simbolo che in questo momento storico rievoca la nostalgia ma soprattutto la voglia di tornare ad abbracciarsi di nuovo.

“La casula stessa è in realtà, col suo avvolgere totalmente il sacerdote, un abbraccio; è l’essere rivestito di Cristo Sacerdote, prendere il suo giogo: è sulla croce che il Cristo esprime in pienezza il suo sacerdozio, cioè il suo donarsi al mondo, è l’abbraccio fissato in eterno, spalancato per sempre sul mondo e che la chiesa è chiamata a ripresentare non solo nell’Eucarestia ma in ogni suo gesto, in ogni sua parola, in ogni sua scelta. Ecco perché la croce che domina il centro della casula stende le sue braccia oltre il petto fin dietro le spalle, proprio come un abbraccio; così come anche sulla mitria. Un abbraccio che esprime comunione e fraternità profonda anche nelle trame di cui è composta la croce…un intreccio di fili, un incrocio di dita, di braccia, di mani, che richiamano anche lo stemma di don Mimmo con le due mani: quella di Cristo che afferra quella di Bartimeo – “Coraggio! Alzati, ti chiama!” –  quella del Samaritano che afferra il malcapitato, quella del vescovo che afferra il suo popolo e insieme formano la chiesa, abbraccio spalancato al mondo e in particolare agli ultimi, i crocifissi della storia. Solo se intrecciati, solo se stretti gli uni agli altri, solo se gareggiamo nello stimarci a vicenda e nell’aver cura gli uni degli altri, con pazienza, umiltà e nel nascondimento mite la cui unica preoccupazione è il bene dell’altro, proprio come i due fratelli della parabola di don Tonino, allora siamo una chiesa stabile che resiste agli urti di ogni scossa di terremoto, perché fondata sulla roccia dell’amore e della fraternità, alimentata e rinvigorita dall’Eucarestia, memoriale di quell’Abbraccio, di quella Croce, di quel Dono che ricevuto ci spinge ad uscire, ad andare per le strade, incontro a tutti!” (fonte don Antonio Parrillo).

Riportiamo di seguito dal libro PARABOLE di Tonino Bello  LA CHIESA FONDATA SULL’ABBRACCIO

“In un paesino dell’Irpinia, una chiesetta al centro del villaggio era sopravvissuta al terremoto dell’80…qual era il motivo di tanta stabilità?

Due fratelli possedevano un mulino nei pressi del fiume. Vi lavoravano tutto il giorno. La gente del paese portava lì il grano per la macina e, per ricompensa, lasciava un po’ di farina. Al termine della giornata lavorativa la quantità ricevuta dai due fratelli veniva equamente divisa e collocata in due depositi distinti, ciascuno appartenente  a uno dei fratelli. Poi i due lasciavano il mulino e tornavano a casa. Vivevano in zone opposte del paese. Uno era sposato e aveva nove figli, l’altro era scapolo e viveva da solo. Quest’ultimo pensava, e giustamente, che non fosse logico dividere la farina in parti uguali, giacchè era solo, mentre suo fratello aveva nove bocche da sfamare. Così di  notte, tornava al mulino, riempiva un sacco di farina e, di nascosto, lo trasportava nel deposito del fratello, quindi tornava a dormire felice. L’altro fratello, dal canto suo, faceva un ragionamento opposto. Pensava che mentre lui, durante la vecchiaia avrebbe potuto contare su nove figli e non avrebbe avuto problemi si sostentamento giacché i figli sono la più grande ricchezza, suo fratello scapolo, invece, essendo solo, avrebbe dovuto pensare per tempo a mettere qualcosa da parte. Per questo, di nascosto, anch’egli si recava di notte al mulino, riempiva un sacco di farina e lo trasportava nel deposito del fratello.  Una notte i due si incontrarono per caso al centro del paese, ognuno con il sacco di farina sulle spalle. Si guardarono, si abbracciarono, e lì, proprio in quel luogo, venne poi costruita la chiesetta. La chiesa che nasce da un abbraccio più forte del terremoto…”.

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