L’IMMORTALITÀ ESISTE – LA VIVA EREDITÀ DI FABRIZIO DE ANDRÈ A 25 ANNI DALLA MORTE

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Sono (già) passati 25 anni dalla morte di Fabrizio De Andrè. Era infatti l’11 gennaio 1999 quando – troppo presto – il famoso cantautore genovese morì. Non si può trascurare un anniversario così ricco, importante e attuale. Volutamente corro il rischio, con questo mio scritto, di tessere un elogio apologetico di questo autentico gigante della musica italiana. Ringrazio il giorno che mi fu regalata una musicassetta con i suoi più grandi successi… Fu amore a primo…ascolto. Da quel giorno De Andrè per me è divenuto un autentico maestro di vita e forse uno dei miei più grandi rimpianti è non essere riuscito ad ascoltarlo dal vivo, ma il tempo è stato ostile: io appena diciassettenne e lui morto troppo troppo presto. Divenne cosi il mio compagno discreto di notti insonni, faro di speranza nelle nebbie della vita, fermo sostegno nella scelta della Verità e Libertà… Aldilà del ricordo personale però, oggi il tributo è per l’eredità lasciata da De Andrè a questa umanità – ieri come oggi – così sfilettata, imbarbarita, impoverita e sempre più incattivita. Anarchico e libero da qualsiasi censura e dal nefasto politicamente corretto, ha cantato le ingiustizie, dando voce – quasi dipingendo – alle vite e alle storie dei deboli, degli esclusi, degli ultimi. Ha denunciato la (incolmabile?) scissione tra borghesia benpensante e quell’umanità in perenne lotta per la dignità e la sopravvivenza. Ora lo definiremmo difensore dei diritti civili. È stato convintamente antifascista (quanto farebbe bene, soprattutto a qualcuno, ascoltarlo in questi tempi oscuri…): “…provate pure a sentirvi assolti, ma siete lo stesso coinvolti…” (Canzone del Maggio).

Pacifista nel midollo, antimilitarista e ribelle denunciatore di una politica corrotta e distaccata dalla realtà: “…il ministro dei temporali in un tripudio di tromboni, auspicava democrazia con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni…” (La Domenica delle Salme – il suo manifesto politico, rappresentativo della caduta di tutti gli ideali democratici).

Convintamente anticlericale (come dargli torto in tanti e troppi casi di deludente e accomodante clericaliscmo…) eppure cantore di un umanissimo Gesù,  considerandolo comunque imprescindibile  per l’esistenza e definendolo il più grande Rivoluzionario di tutti i tempi. Sarebbe un toccasana se qualche pseudo cristiano e qualche prete ascoltasse il capolavoro della “Buona Novella”, disco rivoluzionariamente scritto in piena epoca post sessantottina. Una specie di teologia cantata con grande delicatezza e tanto rispetto da provocare brividi. Dopo un personale percorso e una approfondita ricerca e dopo la terribile esperienza del rapimento vissuto con la moglie Dori Ghezzi da parte dell’anonima sarda, così diceva in un’intervista: “Credo nella mia vita di aver spesso messo in discussione la religione, di essermi fatto beffe di dogmi e aver ascoltato con orecchio critico di crisi mistiche. Eppure io, in quella terra che amavo e in balìa di uomini che non capivo, soggetto a un destino che non mi ero scelto, ho ricominciato a credere, a cercare nella forza di un’Entità diversa, superiore a quella umana, il bisogno di Dio. Non so ancora se questa è una mia svolta essenziale o no. E’ stata fatta in tempi troppo drammatici perché io abbia le idee chiare, ma quel che so è che Dio, anche se in modo ancora informe, dentro di me, ho sentito che c’era…”

La grandezza del lessico poetico di De Andrè è la potenza delle parole scelte con premura – nate spesso da una solitudine imposta che gli permetteva di connettersi con il resto – conoscendo dunque l’effetto in chi le ascolta. La grandezza degli accordi della sua inseparabile chitarra e del messaggio dei suoi testi è quello di non cadere nel facile giudizio per condurre tuttavia ad arrivare ad una scelta matura, libera e consapevole. Ha cantato la bellezza dell’amicizia e dell’amore in tutte le sue sfaccettature  (cit. Bocca di Rosa, Princęsa, ecc)  e l’essere cittadini del mondo, senza fanatici e ridicoli campanilismi o preoccupanti patriottismi. Basti ricordare il suo profondo legame con la Sardegna e con Napoli, nonostante la viscerale essenza  genovese.

Ha spudoratamente e impunemente schiaffeggiato l’ipocrisia di chi si crede migliore  (cit. La Città Vecchia, Il Cantico dei Drogati, ecc.).

Credo che occorra addirittura scegliere con coraggio per poter e saper ascoltare De Andrè, perché la sua autenticità riesce a scuotere anche le coscienze più assopite.

Mi auguro che questo anniversario possa essere utile a riscoprire il tesoro e l’immensa eredità lasciata alla musica e alla societa. È consolante che si inizi timidamente a parlare di Faber anche nelle scuole e che tanti giovani continuino ad attingere dai suoi testi. Vorrei dire che ascoltare De Andrè fa bene alla vita, al cuore, alla coscienza. Se lo si fa si corre il rischio – necessario – di diventare migliori. Si acquisisce un sguardo diverso verso il circostante, addirittura quella pietà e compassione (che appaiono scomparse) per le mille povertà che vediamo e che allo stesso tempo ci appartengono. Bellezza e addirittura speranza (questa sconosciuta…) di credere in una giustizia possibile e in una convivenza pacifica con le (arricchenti) diversità di cui è composta l’umanità e la storia.

De Andrè fa parte di quel lungo elenco di cantautori ed interpreti che hanno lasciato un segno che vive anche dopo la morte: Franco Battiato, Giuni Russo, Lucio Dalla, Milva, Andrea Parodi, Lucio Battisti, Pierangelo Bertoli, Mia Martini, Giorgio Gaber, Bruno Lauzi, solo per citarne alcuni e fortunatamente abbiamo ancora chi non canta solo banalità. Fa bene alla vita ascoltare artisti come Enzo Avitabile, Angelo Branduardi, Juri Camisasca, Carmen Consoli, i Baustelle, Antonella Ruggiero solo per fermarsi al cantautorato…

Tutta questa ricchezza, il ricordo odierno di De Andrè e della sua viva e monumentale eredità, non solo musicale, se rischia di apparire una “canonizzazione” postuma, sia perlomeno un barlume di consolazione in questo frangente di storia che rischia di farci inquinare o peggio dimenticare tutto quello che quest’ uomo, questo coraggioso cantastorie, ha cantato e detto. La morte non lo ha reso muto e anche dopo 25 anni continua e continuerà a cantare e a raccontarci una possibilità diversa di vedere e vivere la vita, come individui e come collettività. Vorrei che questo mio appassionato intervento si tramuti nel più sentito ringraziamento verso Fabrizio De André – mio Amico Fragile – per essere transitato nella mia storia e per averne preso fissa dimora. Non solo nella mia…perché:

“…porto il nome di tutti i battesimi

ogni nome è il sigillo di un lasciapassare per un guado, una terra, una nuvola, un canto,

un diamante nascosto nel pane,

per un solo dolcissimo umore del sangue per la stessa ragione del viaggio; viaggiare…” Khorakhané (a forza di essere vento). Ah, questa è per me la sua canzone preferita, anzi una delle tante incise nel cuore… Il fascino che dona la sua musica è una forza calamitante che lega per sempre. Consiglio vivamente a chi ancora nutra qualche minimo dubbio sulla unicità e imponenza delle opere di De Andrè di provare ad ascoltarlo…perché troverà “un mondo nel cuore…”.

Davide Gigliola

Foto credit: https://www.fabriziodeandre.it/

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