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Vi sono libri la cui lettura ci conferma progressivamente nell’idea di attraversare un’opera destinata a durare, superando l’impietoso (e necessario) esame del tempo: Leggenda privata (Einaudi) di Michele Mari appartiene a questa ristretta categoria di libri. L’orrorifica autobiografia dell’autore di Tu, sanguinosa infanzia, Verderame e Di bestia in bestia, lungi dal voler essere un regolamento di conti con le ingombranti figure genitoriali (il padre Enzo Mari, celebre e burbero designer; la madre Gabriela “Iela” Ferrario, eterea pittrice e autrice di libri per l’infanzia), torna a esplorare i luoghi comuni già a molte opere di Mari: i posti dell’infanzia, gli aneddoti familiari intimi e spietati, i ricordi implacabilmente fissati negli oggetti-feticcio, nei motivetti allegri che all’occorrenza fanno da sfondo all’incubo, negli spot del Carosello, nelle fotografie che, insieme al testo, compongono la leggenda privata di una famiglia speciale.

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Speciale si diceva, eppure destinata a infrangersi per le incompatibilità non sanabili, per le dinamiche affettive distorte, o per le disastrose combinazioni di anaffettività, rigore, tristezza e persino amore. E la letteratura, in tutto ciò? Essa è il mostro più temibile di tutti, l’onere – irrinunciabile alla vita – per il quale l’autore si costringe allo sforzo di rimettere a fuoco le vicende del tempo in cui era bambino e poi adolescente: è l’Accademia dei Mostri nascosti nella casa di famiglia sul lago Maggiore, nella mitologica Nasca, a imporre l’autobiografia, affinché Mari rimedi alle menzogne e alle inesattezze disseminate nei suoi precedenti libri. Perché questo accada, i rivoltanti Accademici lo tormenteranno, infesteranno i suoi sogni di visioni terribili e minacciose di ogni male, e davvero non ci sarà scampo: il confronto con il passato non smusserà nulla di quel che è stato, i fantasmi saranno sempre lì e la lettura sarà un’esperienza emotiva continuamente sollecitata da una lingua unica, che mescola cultura pop e dottissime citazioni, che strappa sorrisi mentre ci rammenta i nostri, di fantasmi. Un libro che si legge avidamente e sul quale, lasciando intatto il piacere di chi vorrà scoprirlo, poco altro vi è da aggiungere, se non che risulterà difficile staccarsene.

Diana A. Politano

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