Intervista a Devondrick Walker, il giocatore che fa cantare la palla ma che nessuno ha mai voluto: “Nel basket conta più lavorare sui pregi che sui difetti”

BRINDISI – E’ atterrato a Brindisi con la sua navicella da meno di un mese e da domenica sera tutti continuano a chiedersi in città da dove spunti fuori questo Devondrick Walker, guardia-ala 26enne che come uno tsunami sta crescendo di settimana in settimana travolgendo gli avversari a suon di giocate sinceramente “imbarazzanti”.

Oggetto misterioso, Walker, lo è sempre stato per qualunque squadra abbia scelto di puntare su di lui. Sempre con un pizzico di scetticismo. Quella del ragazzo del Texas, o meglio, quella di Walker Texas Ranger è la storia di un giocatore che dopo l’High School non aveva una borsa di studio per il college. All’ultimo arrivò l’offerta di Northwest Oklahoma State, dove non trovò spazio, tanto da decidere di trasferirsi alla Texas A&M University-Commerce. Pensate, nella Division II della Ncaa. Qui chiude il suo anno da senior a 13,6 punti e il 43,2% da tre, cifre che non gli bastano per ricevere offerte. Ci risiamo.

Tanti tryout con squadre di G-League, tante porte sbattute in faccia, finché all’ultimo provino non riesce a convincere gli Austin Toros, dove quell’anno giocherà 11 minuti di media. L’anno dopo passa ai Westchester Knicks, dove guadagna maggiore spazio e mette assieme la polvere da sparo che gli servirà per scrivere finalmente nel firmamento, seppure in un angolino di cielo, il suo nome. Nel dicembre del 2017, infatti, passa con i Delaware 87ers, con i quali disputa uno Showcase leggendario, chiuso con un 12 su 12 da tre punti (7 su 7 il 18 gennaio, 5 su 5 due giorni dopo). A fine anno, gli addetti ai lavori lo eleggeranno come “giocatore più migliorato” dell’intera G-League. Nell’estate del 2017 firma in Australia, ma non è ancora il momento di spiccare il volo: un grave infortunio al piede lo tiene fuori fino a marzo 2018, quando decide di ritornare ai Delaware.

A Trieste, a inizio stagione, ancora quei problemi al piede. Ci sono tante versioni su questa vicenda, fatto sta che a gennaio ha deciso di scrivere sul navigatore della sua navicella la destinazione “Brindisi” ed atterrare in una città dove in pochi si aspettavano qualcosa da lui, e ancora di meno avevano compreso la logica del suo arrivo: “Ma come, si fa male il play e arriva un’ala?”. Sì, un’ala, ma tiratrice. E questo fa tutta la differenza del mondo in questa storia.

Nelle ultime tre partite, Brindisi, la squadra che tirava peggio di tutte da tre punti fino a inanellare un 23% e un 19% consecutivi nelle due partite contro Venezia e Reggio Emilia, ha tirato con il 42,3%, il 50% e il 37,5%. Non sarà tutto merito del neo-arrivato, ma il suo 7 su 12 da tre nelle ultime due gare ha contribuito eccome.

E’ da domenica che continua a scorrermi nella testa l’immagine di Walker che porta palla passeggiando, supera la metà campo, si ferma come per chiamare il gioco per i compagni, poi si guarda la punta delle scarpe e un decimo di secondo dopo da 7 metri lancia la palla verso il canestro subendo il fallo da parte del difensore avversario, che dopo un tre su tre con la mano in faccia non poteva certamente guardarlo impotente mentre avrebbe segnato la sua quarta tripla insensata. Perché senza quel fallo, l’avrebbe messa!

Walker non gioca lo stesso gioco degli altri. Non sappiamo se sia migliore o peggiore, ma sappiamo che è unico, perché quella palla nelle sue mani non saprai mai dove andrà a finire. A meno che non sia una delle sue serate di trance, dove saprai sempre che la palla, ogni volta che Devondrick Walker alzerà la mano, andrà a produrre il rumore più bello del mondo. Ciaf.

Ovunque sei andato, sei stato accolto all’inizio con scetticismo e ti sei dovuto guadagnare tutto. Come mai a tuo avviso le aspettative su di te sono sempre state più basse del valore che poi hai espresso in campo?

“Per quanto mi riguarda, per ciò che mi hanno insegnato i miei genitori e la mia famiglia, il mio modo di vivere è non pensare a ciò che gli altri possano dire di te ma preoccuparti solo di te stesso. Concentrarsi unicamente sui propri punti di forza e lavorare continuamente su quelli. La maggior parte delle persone vuole lavorare sulle proprie debolezze per uscirne più forti ma nel mondo della pallacanestro sono i tuoi punti di forza che ti danno quell’opportunità che spetta a te cogliere. Più i tuoi pregi e punti di forza sono marcati e delineati e più tu sarai un giocatore migliore”.

Qual è il segreto dei tuoi miglioramenti nel corso della tua carriera?

“Il lavoro sui fondamentali prima di tutto. Lavorare su tiro, palleggio e così via può sembrare una cosa banale ma sono i dettagli come il rilascio o aggiustare i piedi al momento del tiro a fare la differenza”.

Sei un giocatore atipico: a chi ti paragoneresti come caratteristiche? Perché noi qui non abbiamo mai visto uno che gioca in questo modo…

“Per la capacità di cambiare il proprio gioco a seconda di quello che ti lascia la difesa e per il suo tiro mi ispiro a Steph Curry. Facile a dirsi, difficile a farsi ma lui è il mio modello di giocatore preferito”.

Hai sempre avuto questa caratteristica del tiro da tre mortifero? Quel modo di tirare lì, da fermo, quasi senza ritmo, mentre sembra che devi fare tutto fuorché tirare, è voluto, è stato allenato, oppure è puro istinto?

“Un mix di questi fattori. L’istinto naturale lo si deve anche sviluppare, curare, migliorare altrimenti nasce e muore lì, come tutti i grandi campioni insegnano. La cura maniacale del più piccolo perfezionamento rende uno specialista un giocatore da ammirare”.

Come ti trovi con coach Vitucci?

“Molto bene, è un allenatore e una guida che parla molto e ha un contatto diretto con i giocatori ma quando serve detta disciplina e regole com’è giusto che sia. Ognuno rispetta i propri ruoli e lo staff tecnico sin da subito ha dato il massimo per farmi inserire al meglio e nel più breve tempo possibile”.

Ti sarai accorto che questo è un grande gruppo e che all’interno ci sono tante persone speciali: alla luce di questo, dove potete arrivare?

“Il primo impatto è stato questo, un grande team affiatato e pronto a lottare l’uno con l’altro. Siamo dei bravi ragazzi, chi meno esperto e chi più, con tanta voglia di lavorare, stupire e vincere. Senza porci limiti andiamo avanti sulla strada tracciata, consapevoli delle nostre qualità umane e cestistiche”.

Andrea Pezzuto

 

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