IL MITO CHE E’ IN NOI. Riflettendo su alcuni drammi di oggi che richiamano ricordi ancestrali – di Gabriele D’Amelj Melodia

Tutto può cambiare intorno a noi, ma le passioni umane sono sempre le stesse. Mutano le idee, i costumi, le leggi, le condizioni di vita, la cultura, la sensibilità, il gusto, ma l’animo umano resta immutabile, chiuso nel mistero della sua ineffabilità. Sono passati millenni e ancora gli oscuri confini dell’anima non sono perfettamente noti , e il suo logos frustrato a volte relega la mente umana negli abissi della  matta bestialità.

Chi è mamma Marisa, l’infermiera che ha ucciso i suoi due figli per “ far dispetto al marito “,  se non la reincarnazione di Medea, la quale, per vendicarsi del fedifrago coniuge Giasone, ammazza prima la sua nuova compagna e poi i figli avuti dal marito? E che dire di quei conflitti mortali tra padre e figlio? Padri che hanno tolto la vita a figlie considerate “ impure “, figli che hanno assassinato il genitore per motivi futili, come nel tragico caso locale che ha registrato un parricidio per una disputa sul … cellulare. Tornano alla mente i terribili fatti narrati da Esiodo nella Teogonia, con Urano evirato dal figlio Kronos e con lo stesso Kronos che divorava i suoi figli per timore di essere ucciso da loro, come da sinistra profezia. E ancora Edipo, il quale, dopo aver giaciuto , senza saperlo, con la madre Giocasta, uccide Laio, re di Tebe, che era suo padre. Ci sono numerosi casi anche nella storia reale, come ad esempio il famoso parricidio commesso dalla giovanissima Beatrice Cenci col concorso dei familiari ( Roma,1598 ).

Leggiamo, purtroppo, di Caini che ammazzano Abeli per questione di proprietà, o di infanticidi, come quello accaduto poche ore fa a Catania. La casistica più grave per numero di reati resta però quella dei femminicidi. Un tempo si parlava più che altro di uxoricidi, perché erano i mariti ad ammazzare le mogli fedifraghe o presunte tali, e questi assassini per secoli sono stati protetti dal vergognoso principio giuridico del delitto d’onore, abolito in Italia solo nel 1981. Ricordo che non esiste un termine equivalente per denominare il delitto commesso dalla moglie nei confronti del coniuge, per cui il termine uxoricidio si usa anche in tal caso, e questo la dice lunga sul maschilismo storico.

 Inutile citare le migliaia di femminicidi commessi dall’antichità ai giorni nostri, meglio menzionare una storia di fantasia, quella relativa alla  Carmen , che viene prima picchiata e poi uccisa per strada da don José, “ maschio “ ottuso, geloso e violento. Carmen è il simbolo della donna libera, che rivendica la propria autonomia e si vuole emancipare. Ma al maggio fiorentino di quest’anno, colpo di scena, grande trovata del regista Leo Muscato che ha letto l’ opera di Bizet in maniera assai originale. Sposando le sacrosante rivendicazioni del Me Too internazionale, il regista martinese mette in mano alla zingara tabacchiera un bel revolver, e così lei fa fuori il bruto tracotante … A proposito di Me Too, il movimento farebbe bene a processare moralmente, e quindi a censurare e condannare alla damnatio memoriae, tutti i biechi protagonisti di stupri, violenze e maltrattamenti perpetrati in danno delle donne, a cominciare da padre Zeus, proseguendo con i romani che abusarono delle Sabine, con Sesto Tarquinio lo stupratore di Lucrezia, con il pittore Agostino Tassi che usò violenza ad Artemisia Gentileschi, e finendo con Mr. Weinstein e le sue ignobili porcate seriali.

Anche nei casi meno tragici, l’ombra del mito e dei personaggi di fantasia delle grandi storie del passato incombono e domina la nostra quotidianità. Mimmo Lucano, il coraggioso sindaco di Riace che antepose le leggi del cuore a quello dello Stato, altri non è che la reincarnazione di Antigone, la quale,  dando sepoltura al fratello Polinice, violò il decreto del nuovo Re di Tebe Creonte, subendo la condanna  al carcere a vita, a cui solo sfuggì dandosi la morte. Tutta la tragedia di Sofocle, classico ever green di scottante attualità, è imperniata sul problema clou dell’obbedienza alle leggi. E’ doveroso osservarle sempre e comunque, o invece è giusto ribellarsi ad esse quando le ragioni del cuore ce lo impongono?

Giorni fa, sulle pagine di Repubblica, Gustavo Zagrebelsky scriveva che in certi casi la disobbedienza civile è una virtù civilmente e politicamente legittima, purché sia attuata in forme di resistenza non violenta e alle condizioni che sia supportata da una collettività consapevole e responsabile. Certo, i fini devono essere nobili, magari ispirati a quel sentimento di pietas che, invece,  spesso viene a mancare a causa di reazioni impulsive non mediate dalla conoscenza e dalla valutazione razionale dei fatti.

Il problema è tutto qui : l’’uomo continuerà a sbagliare e a commettere crimini, ma la comunità ha il dovere di perseguire i valori dell’equilibrio, del senso di equità e di giustizia, senza lasciarsi andare a reazioni emotive e retrograde. Non si può invocare la pena di morte per crimini efferati, o la facoltà di sparare a un ladro disarmato, senza perdere definitivamente quei crismi di civiltà e di umanità che abbiamo costruito con grande fatica.

 

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