Riceviamo e pubblichiamo integralmente il pensiero sull’immigrazione di un giovane studente brindisino, Daniele Polmone che si firma “un ragazzo di 21 anni, studente di Giurisprudenza a Milano prima, a Lecce poi, ‘ancora piccolo per parlare'”:
“Ogni individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale, nonché alla realizzazione attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l’organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali, indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità”.
Questo è ciò che sancisce espressamente l’art.22 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, cui la Costituzione italiana, all’art.10, si conforma.
Dovrebbe esser questo il punto di partenza per riflettere su come e su quanto la stessa Politica che ieri ha permesso il riconoscimento di tali diritti, oggi infonde, negli animi di gran parte degli Italiani, profondi sentimenti di odio e violenza, racchiusi nelle più becere forme di xenofobia e razzismo, che dilagano anche nei miei concittadini della nostra amata Brindisi, a causa, senza offesa, dell’ignoranza, nella sua accezione letterale di “volontaria indifferenza e disinteresse per la conoscenza”, “ignoranza” che non permette di andare oltre ciò che c’è dietro. Una politica subdola e squallida, che riesce nel suo fine di occultare interessi volti all’arricchimento della casta che pasteggia e brinda sulle teste di questi poveri innocenti, che non diventano altro che il capro espiatorio di un sentimento di insofferenza e insoddisfazione che il comune cittadino prova nel cercare di vivere una vita dignitosa, cosa che poco gli riesce vista l’ottusa e oberante politica economico/tributaria statale, e visto l’attacco costante e puntiglioso al Welfare, col metodico e strategico obiettivo di minare, velatamente, la tutela dei diritti fondamentali dell’individuo, tra cui anche il diritto al lavoro e alla sicurezza, e nella continua ma infruttuosa ricerca di una rappresentanza dei suoi ideali, o meglio delle sue speranze, nei Palazzi.
“Vengono in Italia a rubare il lavoro.”
“Pretendono tutto e non fanno niente dalla mattina alla sera.”
“Che se ne tornassero a casa loro.”
Quante ne sentiamo di frasi così? Contrastanti. Assurde. Infondate. Generaliste.
Quante volte le sentiamo frasi del genere?
Quante volte avremmo preferito essere ciechi piuttosto che leggere, tra i commenti ad un articolo pubblicato su un social da una nota testa giornalistica locale, frasi come: «E non li usano come combustibili per stufe?» ?!
Tante volte, posso dire per certo, che i miei occhi e le mie orecchie hanno desiderato sanguinare copiosamente pur di non permettere a questi sentimenti di avversione, disprezzo e intolleranza, propri di questa gente, notoriamente tangibili, di raggiungere le mie sinapsi e i miei ventricoli cardiaci, al fine di non suscitare in me la ripugnanza verso questo genere d’individui capaci, se di capacità si possa parlare, di discriminare l’altro per la lingua, il colore della pelle, la cultura, la condizione economico-sociale, noncurante degli enormi affari che vengono conclusi dietro le quinte della xenofobia di cui questi si nutrono grazie a giornali ed emittenti radiotelevisive.
Quanti sanno realmente che l’Italia è tra gli ultimi Paesi europei per numero di immigrati accolti? Forse nessuno perché «CI STANNO INVADENDO» !
Quanti sanno che, a detta di una statistica del Ministero degli Interni, il rapporto è di 11 immigrati su 629 residenti? Forse nessuno perché «CI STANNO INVADENDO» !
Quanti predicano l’integrazione ma poi «Non sotto casa mia, sono sporchi, puzzano, rubano.»
Quanti di quelli che dicono che l’immigrato non fa nulla da mattina a sera, si è poi chiesto il perché questo non lavori, o, se lavora, gli è stata sicuramente affidata una mansione poco dignitosa, sottopagata che porta quasi alla schiavizzazione dell’immigrato?
Non deve, forse, essere cercato all’interno della politica odierna l’anello mancante? Una politica quasi creatrice o comunque colpevole del reato di “favoreggiamento” di questa situazione di finta emergenza, utile per il business dell’accoglienza che permette l’apertura incontrollata di Centri d’Accoglienza Straordinaria (CAS) e Centri d’Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA), che non sono sottoposti ad alcun tipo di vigilanza in merito alla rendicontazione e alla trasparenza, tanto da ricevere fondi sufficienti, sì, per l’accoglienza e l’integrazione, ma intascati dagli “affaristi” dell’ormai smascherato business dell’accoglienza che specula sulle vite di esseri umani stipati senza alcun rispetto della dignità umana in strutture ai limiti della sopravvivenza, a differenza degli SPRAR (Servizio di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati).
L’anello mancante non è forse individuabile nella mancanza di una reale politica integrativa volta a promuovere lo sviluppo delle condizioni economico-sociali e culturali degli immigrati, rifiutati dai datori di lavoro, eccezion fatta per i caporali, chi per una discriminazione, chi per un’altra?
Una politica, quella attuata dal nuovo decreto Minniti-Orlando sulla gestione dell’immigrazione che vede l’immigrato come pericolo e non come possibile risorsa, come invece fanno altri Paesi, probabilmente più civili del nostro, come la Germania o la Francia. Sarebbe, forse, stato più utile uno snellimento delle ormai paradossali lungaggini burocratiche che non permettono a molti di veder riconosciute le loro competenze, le loro professionalità attestate anche da diplomi e lauree varie la cui valenza, per il Ministero dell’ Istruzione, è pari a zero.
E per chi, ancora, fosse convinto dell’ipotesi che coloro che arrivano sulle nostre sponde sarebbe possibile aiutarli, come molti dicono, «a casa loro», “casa loro” è sfruttata economicamente e martoriata militarmente, da multinazionali e da truppe militari inevitabilmente legate a quella stessa politica che sfrutta, qui da noi, la falsa situazione emergenziale, e sfrutta “casa loro” perché ricca di risorse, mediante una governante finalizzata all’impoverimento dei cittadini costretti ad emigrare, chi per le scarse condizioni di vita, chi per i pericoli derivanti dallo scoppiare incessante di conflitti tra le potenze economiche occidentali, per decidere quale, tra queste, deve assicurarsi lo sfruttamento massivo di “casa loro”.
“E tu, tu che pensavi
Che fosse tutta acqua passata
Che questa tragica lurida storia
Non si sarebbe più ripetuta.
Tu che credevi nel progresso
E nei sorrisi di Mandela
Tu che pensavi che dopo l’inverno sarebbe
arrivata la primavera.
E invece no
E invece no”
[Brunori Sas – L’uomo nero]
Da un ragazzo di 21 anni, studente di Giurisprudenza a Milano prima, a Lecce poi, «ancora piccolo per parlare».
D.P.