I disturbi d’ansia sono sempre più diffusi in età evolutiva. Causano disagio e malessere non solo nel bambino, ma in tutta la famiglia. Corrispondono a diverse paure, convinzioni, previsioni negative, preoccupazioni su come potrebbero verificarsi gli eventi temuti e su come fronteggiarli.

Nell’età evolutiva leangosce, che causano una sofferenza importante, riguardano la scuola, lo sport, il rapporto coi pari; può essere presente una tendenza al perfezionismo, con un impegno eccessivo o comportamenti di evitamento.Quest’ultimo è il comportamento apparentemente di salvezza da una paura, ma è proprio quello che la alimenta maggiormente. Nella situazione successiva avremo più terrore della volta precedente. Difatti poi non fuggiamo perché abbiamo paura, ma abbiamo paura perché fuggiamo.

In prim va detto che non esiste il bambino ansioso, ma la famiglia ansiosa: si crea un circolo vizioso di trasmissione della paura dal genitore al bambino e dal bambino al genitore. Se un bambino presenta già un temperamento timido, introverso può capitare che il genitore si “preoccupi” del suo stato emotivo trasmettendo ansia, che nel piccolo si traduce in “Non ce la posso fare, sono debole, il mondo è troppo complesso per me, è cattivo”.

La terapia cognitivo comportamentale mette in evidenzia sia aspetti temperamentali, stile genitoriale, eventi esterni, dinamiche famigliari, sia aspetti di vulnerabilità individuale.Il lavoro include tutto il nucleo famigliare collegando le emozioni e i pensieri agli eventi che li hanno elicitati, attraverso storie, fumetti, role play.

I genitori sono i primi promotori del benessere del bambino e per questo il loro impegno è importantissimo. Non significa che lo stile educativo sia necessariamente sbagliato, non ci sono colpe, ma un nuovo modo di vedere se stessi nella veste di genitore. Si possono calibrare in modo diverso alcune misure pedagogiche. Inoltre, gli incontri di parent training vertono alla comprensione dell’ansia, la sua origine, la sua gestione, ad un lavoro individuale sulle proprie emozioni e sui propri pensieri non sempre funzionali. Questo percorso volge a diminuire l’iperprotettività e favorire il supporto all’esposizione, incoraggiando l’indipendenza; rinforzare coerentemente i progressi e fornire supporto nei momenti di difficoltà.

La relazione genitore-figlio potrebbe essere paragonata a un danza in cui i due si modellano, si seguono a vicenda in modo armonico. In veste di educatori a volte si è complici, altre volte guide. Quanto è difficile tutto questo e capire quando è il caso di comportarsi in un modo piuttosto che nell’altro! Fondamentale e indispensabile è la capacità di adattamento, in quanto i figli sono diversi dai genitori e non possono essere plasmarli a loro immagine e somiglianza. Si otterrebbe l’effetto contrario.

Importante è sapersi modificare in relazione alle difficoltà presentate, cogliere prospettive diverse dalle proprie mettendo in discussione anche le proprieconvinzione, che spesso non sono sovrapponibili alla realtà, ma derivanti da esperienze precedenti. Cambiare rotta, abitudine per dare spazio a nuove strategie funzionali può essere un’esperienza bellissima e armoniosa perché punta al benessere, e al tempo stesso non semplice! Ma occorre provare, perché il mestiere di genitore lo si impara facendolo, e come ci diceva Vincent Van Gogh “Faccio sempre ciò che non so fare, per imparare come va fatto”.

Rita Verardi – psicologa e psicoterapeuta

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