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Eka Kurniawan, autore indonesiano considerato l’erede letterario di Gabriel García Marquez, con La bellezza è una ferita (suo ultimo romanzo, edito in Italia da Marsilio) ci trasporta nel cuore dell’isola di Giava, al centro dell’immaginario villaggio portuale di Halimunda, lì dove ogni frazione dell’esistenza dei suoi abitanti sembra obbedire al dispiegarsi delle forze primordiali – violente e assolute – dell’amore e della morte. Se già i due colli che fanno da quinte geografiche al villaggio traggono i loro nomi dai due sventurati amanti che hanno serenamente scelto di librarsi nel vuoto pur di non rassegnarsi ad una vita infelice – perché brutalmente privata della possibilità di veder realizzato il loro amore – il villaggio sottostante non può non soggiacere implacabilmente alle medesime regole.

Al centro del romanzo si staglia l’ammaliante figura di Dewi Ayu, una prostituta che dalle stanze del bordello di Mama Kalong vede svolgere innanzi a sé la travagliata storia dell’Indonesia (il colonialismo olandese, l’occupazione giapponese, l’atrocità della guerra, la rivoluzione comunista, la dittatura), le vite di uomini piccoli piccoli – ridicoli nella loro brama di sesso e di potere –, e la storia della sua famiglia, tragicamente segnata dalla maledizione della bellezza, da magie oscure, dalla ferocia, dalla presenza inquieta dei fantasmi che non trovano pace. Dalle pagine del libro tornano a farsi sentire voci ancestrali, primitive, frammenti narrativi che affondano le loro radici nelle storie della tradizione indù e coranica e, più in generale, in quell’unico racconto inesauribile che è il mito. Ovvero quel bacino comune in cui confluisce l’immaginazione di ogni tempo e di ogni luogo e che, alle orecchie di tutti gli uomini, è capace di mescolare cielo e terra, amore e castigo, dolore e futuro. Kurniawan, recuperando per sé il ruolo di rapsodo delle vicende di moderni Narciso, Eco e Medusa, non fa che rammentarci quanto l’amore, e l’indecifrabilità delle sue ragioni, sia una ferita da cui sgorga il mondo.

Diana A. Politano 

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