BRINDISI -E’ stata depositata la motivazione relativa alla sentenza di 1° grado emessa dal Tribunale di Brindisi sul processo per la dispersione delle polveri di carbone nei terreni attigui il parco carbone ed il nastro trasportatore della centrale di Brindisi sud. Ben 312 pagine per motivare la sentenza emessa il 26 ottobre scorso con la quale i manager Sanfilippo ed Ascione furono condannati a 9 mesi di reclusione (unici condannati perché i soli ritenuti in grado di incidere sulle scelte), oltre al risarcimento – in solido con Enel Produzione – dei danni civili ai 58 proprietari terrieri, per i reati di ‘getto pericoloso di cose’ e ‘danneggiamento’.

 Niente risarcimento danni per enti locali ed associazioni ambientaliste, in quanto, in tale processo,  agli imputati non è stato contestato di aver procurato danni alla salute dei cittadini, né di aver procurato un danno ambientale inteso secondo il Dls. 152/06 (contaminazione dei terreni), ma solo un danno ricollegabile al libero esercizio di impresa ed all’integrità fisica dei diretti interessati. Tra l’altro, secondo tale decreto, ad avanzare azione civile nei processi aventi ad oggetto reati ambientali può essere solo il Ministero dell’Ambiente (per la cronaca non costituitosi).

Per quanto concerne il quantum del risarcimento spettante ai proprietari terrieri, il giudice penale ha rimandato la valutazione in sede civile, dove oltre al danno patrimoniale sarà valutato anche quello non patrimoniale, comprendente eventuali lesioni all’integrità fisica ed all’immagine delle aziende agricole.

Ai due manager è stata applicato il minimo edittale della pena, oltre alla sospensione condizionale della stessa ed alla mancata menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziario: ciò in quanto è stata apprezzata la volontà di risolvere definitivamente, seppur tardivamente, la problematica della dispersione delle polveri di carbone attraverso la progettazione e realizzazione di due carbonili coperti.

I vertici Enel condannati, secondo il Tribunale di Brindisi, hanno agito con dolo diretto, ovvero si sono rappresentati come conseguenza certa o molto probabile della propria condotta un risultato che non hanno perseguito intenzionalmente; tradotto in parole povere, non volevano procurare danni da “insudiciamento” alle colture ma non hanno fatto niente per prevenire ed arrestare tali gravi conseguenze.

L’elemento materiale dei reati, invece, è stato considerato integrato per la frequente, prevedibile ed intollerabile dispersione delle polveri, la quale, in base alle prove documentali, tecniche e testimoniali, ha con alta probabilità procurato l’insudiciamento ed il danneggiato deii raccolti che insistono sui terreni attigui.

Il giudice ha contestato ai manager di conoscere tale situazione dai primi esordi del fenomeno, risalenti al 2000 (esattamente in corrispondenza dell’episodio riguardante la carboniera Hellas), e di non aver posto rimedio a tali dispersioni almeno fino al 2013, senza ad esempio provvedere a diminuire la quantità di carbone stoccato o ricorrere ad altri combustibili, come avvenuto negli anni passati e come è nelle capacità tecniche della centrale.

L’imponente opera di ricostruzione compiuta in fase di indagini e di istruttoria dibattimentale traccia tutti i passaggi della storia recente dell’impianto produttivo e delle problematiche connesse alla logistica del carbone.

Fa specie ad esempio osservare come dal milione di tonnellate del 1998 (quando la centrale funzionava a ciclo combinato oremulsion/carbone) si è passati agli oltre 6 milioni del 2004, allorquando la centrale ha iniziato a funzionare esclusivamente a carbone.

Tale evenienza ha portato i vertici Enel ad approcciarsi al problema con un metodo definito dal giudice ‘learning by using’, ovvero di porre rimedio via via che si paravano davanti i problemi, senza affrontarli in maniera seria e strutturale, almeno fino al 2009, anno in cui vennero progettati i carbonili coperti.

I manager Enel pensarono allora di tirare a campare, di intervenire prima attraverso palliativi, poi attraverso accordi transattivi ed indennizzi in beneficio dei singoli agricoltori, poi avanzando offerte d’acquisto di quei terreni, facendole passare come operazioni propedeutiche allo sviluppo di energie alternative da praticare su quei terreni, come l’eolico, il fotovoltaico. Insomma, tutti espedienti indotti da fini utilitaristici volti al risparmio, non certo dettati da rapporti di buon vicinato. Eppure già dal 2005 il Comitato tecnico regionale aveva individuato come unica soluzione risolutiva possibile, la costruzione del carbonile coperto.

Ma niente, Enel non voleva saperne di spendere tutti quei milioni di euro (180) per un intervento che reputava superfluo. Eppure dalle mail che intercorrevano tra i manager si deduce chiaramente che il problema era conosciuto e mai disconosciuto. Prova ne siano le numerose commissioni affidate all’agronomo di fiducia della società, dott. Trotti, il quale veniva spedito sui campi ogni qualvolta provenissero lamentele da parte dei contadini. I manager Enel, a seguito dei rilevamenti dell’agronomo che individuava, sulla base di un esame visivo e della sua esperienza, la presenza di carbone sui raccolti, non commissionavano mai allo stesso studi più approfonditi per capire la provenienza di quegli insudiciamenti. Ciò testimoniava l’implicita conoscenza della problematica da parte dei manager, tanto è vero che si provvedeva sistematicamente a versare ai contadini danneggiati un indennizzo, componendo il tutto stragiudizialmente.

Ma da dove nascevano tali problematiche legate alla dispersione di carbone? I motivi sono da ricercare: nei furti di alcuni pannelli laterali che coprivano i 14 km di attraversamento del nastro trasportatore; nei cumuli di carbone estremamente alti; nel trasporto del carbone su camion scoperti; nella inefficienza delle tecniche di compattamento dello stesso; nella dispersione in coincidenza dei cambi di direzioni delle torri del nastro trasportatore; nel mancato lavaggio tempestivo dei camion e delle torri; nella mancanza di frangivento adeguati. Insomma, per anni una quantità incredibile di carbone finiva in ogni dove, spinto dalla forza del vento di maestrale (dominante a queste latitudine), procurando danni ai raccolti dei contadini operanti entro 5-600 mt. ed alla loro salute. Numerose sono state le testimonianze, infatti, di problemi legati a tali dispersioni: a seguito del sollevamento di tali polveri e della successiva inalazione, un agricoltore è dovuto perfino ricorrere al ricovero al pronto soccorso a seguito di un episodio di asma.

Gente costretta per 15 anni a barricarsi in casa, anche e soprattutto d’estate, a vivere costantemente a contatto con le nocive polveri di carbone, a distruggere i propri raccolti ed a vedere vanificato il proprio lavoro. Nel mentre, i manager Enel si scambiavano mail in cui si dicevano preoccupati per le evidenze delle problematiche e per la gravità della situazione; in alcuni casi, addirittura si incitavano a vicenda a “mandare a fanculo” quei rompiballe di contadini in cerca di chissà cosa.

Nel 2005, però, la prima svolta. Il Gip dispose il sequestro preventivo dell’area di stoccaggio del carbone della centrale Brindisi nord (allora ancora di proprietà di Enel) ed il sequestro dei mezzi utilizzati nel carbonile, in quanto si verificarono gravi casi di dispersione di polveri di carbone ammassato senza accorgimenti.

Si pensi che il carbone costituiva il 70% del totale delle merci movimentate nel porto.

A seguito di tale episodio si procedette alla costituzione del Comitato tecnico regionale, il quale, come sopra detto, presentò come unico intervento possibile quello dei carbonili coperti.

Enel, però, commissionò uno studio privato in quanto riteneva superfluo il costoso intervento prescritto dal Comitato tecnico; informò quest’ultimo, pertanto, che avrebbe provveduto ad interventi più immediati (e meno costosi).

Così, dal 2006 si provvedette ad acquistare i fog cannons per compattare i cumuli di carbone, ad erigere frangivento, a piantumare alberi, a provvedere al lavaggio dei mezzi e delle torri, a coprire i camion con dei teloni, ad effettuare interventi sulle tramogge e, soprattutto, ad avanzare offerte di acquisto dei terreni contaminati, giustificandoli come operazioni ‘green’.

La contaminazione, tra l’altro, è testimoniata da un Piano di caratterizzazione che il Ministero dell’Ambiente commissionò nel 2004 sui terreni agricoli rientrati nell’area SIN di Brindisi. Su 972 rilevazioni effettuate nel 2006 su tali terreni, in 688 si riscontrò una contaminazione. In particolare nel 2007 il P.M. diede incarico al Prof. Di Molfetta di esaminare il Piano: entro una fascia longitudinale di 500 mt. costeggiante il nastro trasportatore venne riscontrato un “alto livello di contaminazione” dei terreni, soprattutto nelle zone in corrispondenza dei cambi di direzione delle torri del nastro trasportatore (dove si verificava maggiore dispersione di carbone), a riprova dei danni procurati dalla perdurante situazione. A seguito di tale Piano, tra l’altro, il Sindaco Mennitti emanò un’ordinanza che vietava la coltivazione e ordinava la distruzione dei raccolti derivanti dai terreni interessati dalla contaminazione.

Tale ordinanza fu impugnata da Enel ed annullata nel 2009 dal Tar Puglia.

Nel 2010, comunque, Enel si impegnò a sottoscrivere un Accordo di Programma con le Associazioni di categoria al fine di riconvertire e migliorare la qualità dei terreni interessati da tali contaminazioni.

Ma perché Enel non intervenne subito con un carbonile coperto come invece previsto a monte per l’impianto di Civitavecchia? La risposta è da ricercare nel fatto che quest’ultimo è contermine con il centro abitato, mentre la centrale di Brindisi dista 14 km dal centro, come se la vita dei contadini fosse meno importante di quella della gente del centro urbano. E’ forse questo l’elemento che più suscita un sentimento di indignazione.

Questa storia, infatti, è andata avanti dal 1998 al 2013, senza che nessuno avvertisse alcuno scrupolo per la condizione negletta, di disagio fisico e lavorativo subita da quella gente.

Solo nel 2009, in concomitanza dell’inizio delle indagini della Procura, i manager di Enel si mostrarono favorevoli alla risoluzione definitiva del problema. Ma se non fosse intervenuta la Procura, la Polizia scientifica con i suoi appostamenti e con le telecamere poste nelle case degli abitanti della zona, probabilmente il problema sussisterebbe ancora.

Ed è da qui che deve partire un monito ed un appello alla classe politica affinché funga da presidio preventivo e non demandi tale compito alla magistratura ed alle forze dell’ordine, i quali spesso intervengono solo a danno compiuto, quando la situazione è già irreversibile.

Vi è da dire, per dovere di cronaca,  che dal 2001 al 2013 Enel ha investito 740 milioni di euro per migliorare le condizioni della logistica del carbone, di cui 180 solo per la realizzazione dei Dome (carbonili coperti). Questo, tuttavia, non basta a lavare la macchia della strafottenza dimostrata nei confronti di alcuni cittadini, considerati evidentemente di serie b, se non addirittura come dei ‘rompicoglioni’.

Per quanto concerne il giudizio processuale, invece, le parti si ritroveranno in Corte d’Appello.

Andrea Pezzuto
Redazione

2 COMMENTI

  1. Andrea, complimenti per la sintesi! Ci sono tante contraddizioni nella sentenza ed aspetti ancora più gravi di quelli riportati. Non vi è dubbio che la normativa vigente nel periodo del processo escludeva totalmente il c.d. “danno ambientale”. Oggi però, per Brindisi e grazie a questa sentenza, si aprono scenari molto diversi e ciò in virtù della Legge 68/2015, relativa alle “disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente” (ecoreati), che (fra le tante cose importanti) chiarisce ulteriormente il concetto di “danno ambientale” ed obbliga alla “bonifica” dei siti contaminati. La sentenza, riconoscendo la diffusione del polverino di carbone nei terreni agricoli e lo stato di “contaminazione acuta” registrato dai vari “Piani di caratterizzazione” chimica della “matrici ambientali” ed ancor più dalle “analisi di Rischio” effettuate da ARPA, nell’applicazione della richiamata L. 68/2015, obbliga alla “bonifica” delle matrici contaminate! Un pò alla volta, anche grazie all’immenso lavoro effettuato dalle Forze dell’Ordine impegnate nel processo, questo territorio inizia un percorso di salvaguardia e rispetto della propria dignità e ….. quel “vaff…lo” che i dirigenti mandavano adire agli imprenditori agricoli, oggi questi ultimi sono in grado di ritornarlo e questa volta …. con la mano alzata!! Bravo!