Ostuni, Palazzo Roma: pre-inaugurazione della stagione artistica con Danilo Rea

Un originale «Omaggio ad Enrico Caruso» quello che è andato in scena ieri sera a Palazzo Roma a Ostuni in vista della prossima programmazione artistica. Un segnale deciso che il management e la direzione artistica hanno voluto condividere per comunicare anche la funzione di teatro della struttura, destinata ad ospitare e offrire stabilmente stagioni teatrali e musicali. Il concerto ha visto protagonista Danilo Rea, tra i pianisti più creativi della scena jazzistica nazionale e internazionale. Un incontro tra musica e frammenti di vita di Enrico Caruso, raccontati da Doroty Park, la moglie americana che sposò il tenore capace più di ogni altro di rappresentare la musica italiana nel mondo.

La scena fa capolino. Nel 1900 è Arturo Toscanini a dirigerlo in una indimenticabile Bohème che inaugurò la stagione del Teatro alla Scala di Milano. I fischi avanzati nel fondo della leggenda di una sera di fine 1901 al Teatro di San Carlo aggiungono elementi alla costruzione del personaggio Enrico Caruso che di lì a poco sarebbe diventato il re del Metropolitan di New York. Lo spettacolo ha alternato musica a racconto, in un gioco di rimandi costruito ad arte dalla drammaturgia di Alessandra Pizzi, che ha ricomposto i pezzi di una vita artistica fatta di conquiste e di scalate, ma anche di profonde fragilità. Rea al piano, l’attrice Barbara Bovoli voce narrante, in un perfetto incastro di parti che ha consegnato al pubblico uno spettacolo di grande grazia ed eleganza. 

«Una popstar ante litteram – ha detto Danilo Rea – nel modo in cui ha vissuto e attraversato il suo lavoro, tra produzioni discografiche, registrazioni e una vita senza troppe regole. Quando ha smesso di sentire da un orecchio, ha messo ancora più alla prova la sua voce, dunque un uomo che ha fatto della sofferenza la propria forza grazie alla coscienza del talento. Ha saputo essere personaggio, un grande comunicatore che ha unito mondi e appassionati cantando a modo suo, a volte a dispetto dei puristi, spaziando con eclettismo tra forme e linguaggi musicali».

 

Ma Caruso risuona ancora con la sua smisurata personalità. La carriera, i trionfi, i palcoscenici, le ovazioni, il primo disco in vinile, il talento che sfida la modernità, non sono che un pretesto che lo spettacolo usa per tratteggiare il personaggio, la sua dimensione che travalica il tempo, nulla di più facile se sul palcoscenico di Palazzo Roma ci sono due interpreti con in mano una partitura in progress. L’arte di Caruso è conservata nelle incisioni di vecchi vinili, che girano ancora sui piatti dei grammofoni da collezione, eppure l’evoluzione della tecnologia non ha scalfito l’integrità dello scenario artistico di quelle opere senza tempo. Una grande eredità cui Danilo Rea ha attinto con tutta la sua anima jazz per rileggere in divenire il genio e il divo.

«Siamo partiti dal celebre pezzo di Lucio Dalla – ha continuato Rea – prendendo le mosse da una registrazione che ho scoperto di recente e che realizzai oltre 25 anni fa con Giovanni Tommaso e Pietro Tomolo. Di lì in poi solo improvvisazione, dunque una traccia libera complice di Barbara Bovoli e della sua interpretazione. Mi piace seguire il feeling del momento e se il repertorio permette, come nel caso dell’omaggio a Caruso, spaziare tra più temi e forme. È il bello dell’interazione tra persone che quando arrivano sul palco avvertono quella fiducia che per gli americani è “trust and candor”. L’idea di Alessandra Pizzi è stata geniale perché ha in sé quell’adattabilità che tocca alla perfezione le corde degli interpreti».

Sullo sfondo Caruso, celebrato e rappresentato in ogni forma possibile, un mito che ha saputo intercettare i prodromi della tecnologia per diffondere la sua arte ponendosi come “modello di riscatto sociale”. «Il mondo della cultura – ha concluso Danilo Rea – a volte pone ostacoli al di fuori di certa ortodossia tradizionale segnando un discrimine tra corretto e non corretto. Credo che all’epoca Caruso sia stato amato più dal pubblico e dai musicisti che dalla stessa critica».

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