Lunedì 18 marzo secondo incontro di studio sulla storia della chiesa locale Brindisi, Chiesa di San Paolo Eremita

BRINDISI – San Giuseppe santo di primavera Storia, tradizione, folkore, credenze popolari e filastrocche”Giuseppe è, nella storia, l’uomo che ha dato a Dio la più grande prova di fiducia,anche davanti ad un annuncio così stupefacente”Benedetto XVI San Giuseppe, secondo il Nuovo Testamento, è lo sposo di Maria e il padre putativo di Gesù. In Matteo 13,55 la professione di Giuseppe è indicata quando si dice che Gesù era figlio di un  téktón. Si tratta di un titolo generico usato per operatori impegnati in attività economiche legate all’edilizia. Accanto alla traduzione  accettata dalla maggior parte dagli studiosi  di téktón come carpentiere, si è anche accostata quella di scalpellino.In Sicilia e nel Salento sono diffuse le  “Tavole di San Giuseppe”: la sera del 18 marzo le famiglie che intendono assolvere un voto o esprimere una particolare devozione al santo allestiscono in casa un tavolo su cui troneggia un’immagine del santo e sul quale sono poste paste, verdure, pesci freschi, uova, dolci, frutta, vino. Invitati a mensa sono mendicanti, familiari e amici e tre bambini poveri rappresentanti la Santa Famiglia. Si riceve il cibo con devozione e spesso recitando preghiere, mentre tredici bambine con in testa una coroncina di fiori, le “tredici verginelle”, cantano e recitano poesie in onore di san Giuseppe.A Gela  la tradizione vuole che chi intenda far voto debba, mesi prima, bussare in ogni porta della cittadina e chiedere qualcosa da donare al povero in nome di san Giuseppe. Nelle proprie abitazioni si allestiscono grandi altari con strutture in legno, adornati con bianche lenzuola ricamate. All’interno si può trovare di tutto: dal pane alla pasta, dal vino ai liquori. La Cena di San Giuseppe è aperta al pubblico il mezzogiorno del 18 marzo;  il 19 tre persone bisognose d’aiuto, in rappresentanza della Sacra Famiglia, si siedono intorno alla tavola imbandita ed è servita a loro la cena. Successivamente è divisa tra loro tutta la spesa, donata e acquistata grazie alle donazioni dei devoti.  Talvolta è un intero quartiere ad allestire le tavole all’aperto.Alimento tradizionale di questa festa è la frittura, nota con il nome di frittellea Firenze e a Roma,zeppole a Napoli e in Puglia,sfincie a Palermo. Nel nord Italia, in particolare sia nella zona cosiddetta delle quattro province (Piacenza, Pavia, Genova e Alessandria) che nella Val Trebbia è uso preparare le frittelle di San Giuseppe (in dialetto farsò) da consumarsi nella festa che si conclude con un grande falò che propizia la fine dell’inverno e l’inizio della primavera.  Nell’Italia centrale è tipica la preparazione di bignè fritti e ripieni di crema o ricotta. Nel Mezzogiorno e nelle pasticcerie di tradizione napoletana è usanza cuocere al forno o friggere in padella grosse ciambelle decorate esternamente con crema pasticcera e marmellata di amarene, note come zeppole.Molto di frequente la festa è associata all’accensione di falò. A Mattinata in provincia di Foggia in occasione della festa di san Giuseppe fino a dieci anni fa si accendevano falò in tutti i rioni e dal 2000 un unico grande falò sul sagrato della chiesa abbaziale di Santa Maria della Luce. Anche a Serracapriola continua la tradizione dei falò di San Giuseppe. Ogni anno, ragazzi e adulti, raccolgono dai campi i rami residui dalla potatura degli olivi secolari, per formare alte pire da accendere la sera della festività del Santo allorché i più temerari si cimentano nel “salto del falò” a testimoniare coraggio e sprezzo del pericolo.A partire dal secolo XV san Giuseppe è dipinto per lo più come uomo anziano e barbuto. Accanto alla verga fiorita appaiono, come attributi di Giuseppe, il bastone del viandante, gli strumenti del falegname e il giglio, simbolo di purezza. In Italia s’impone la tipologia della Sacra Famiglia che nel barocco è vista anche come Trinità Terrestre.

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