Un incontro di donne e uomini di ogni tempo che dialogano tra loro, in uno straordinario affresco della vita sulla terra. E’ forse questa la definizione più vera che possiamo dare della storia. A volte drammatica, spietata, ma, in fondo, è proprio il contrasto tra gli eventi, un cromatismo caravaggesco fatto di luci e ombre, a renderla sempre affascinante. E fondamentale per conoscere il nostro presente. Incuriositi dai seguitissimi incontri sulla storia di Brindisi, “Se la storia va a teatro”, organizzati dalla fondazione “Nuovo Teatro Verdi”, abbiamo fatto una chiacchierata con la presidente e direttrice della biblioteca arcivescovile “De Leo”, Katiuscia Di Rocco.
Com’è nata l’idea di questi incontri e perché la modalità online, quando ormai si sarebbe potuto farli in presenza a teatro? «Tutto nasce da un progetto avviato nel 2019, prima della pandemia, e rivolto inizialmente alle scuole. Sono state proprio le scuole, alla luce dell’emergenza sanitaria, a preferire la modalità a distanza. Così, per rendere gli incontri fruibili anche dal pubblico, abbiamo pensato di pubblicare i video delle dirette sulla pagina della fondazione del Teatro. Devo essere sincera, il fatto che la platea fosse vuota mentre i relatori parlavano non mi ha dato una sensazione di malinconia. Anzi direi che, nel complesso, è una cosa particolare».
Di cosa si è parlato nei precedenti incontri? «Abbiamo scelto delle persone che ben conoscessero la storia della città e potessero inserirla in un’ottica più ampia. Siamo partiti dall’età del bronzo con il professor Teodoro Scarano, che tra l’altro è di origini brinisine ed è responsabile degli scavi di Torre Guaceto. Ha fatto un discorso molto intrigante e veritiero in merito agli insediamenti della costa. E’ seguita la lezione della professoressa Luciana Petracca sul medioevo, incentrata chiaramente sul ruolo del porto di Brindisi. E c’è stata una rappresentazione della filodrammatica “La compagnia del sole” su Federico II, contestualizzato storicamente attraverso i documenti. Poi la lezione del professor Giuseppe Patisso sull’importanza dei due castelli di Brindisi nell’età moderna. Infine una parentesi di storia dell’arte con il professor Massimo Guastella, un excursus sui vari monumenti della città. La lezione del professor Daniele De Luca su Brindisi tra XIX e XX secolo, invece, è stata rinviata al 5 maggio».
Lei, invece, di cosa ha parlato nella sua lezione nella biblioteca “De Leo”, questa mattina? «Dei documenti e pergamene sulla storia della città».
Quale l’importanza degli archivi per ricostruire il passato di una comunità? «In tutte le lezioni abbiamo messo in evidenza un dato di fatto: non si può ricostruire la storia di un territorio se non si ha un archivio o una biblioteca. Oggi forse è necessario pensare a dei percorsi tematici più mirati e inediti per catturare l’attenzione della gente e, per far questo, si ha bisogno delle carte».
A proposito, perché la cittadinanza è piuttosto restia a questo genere di eventi culturali e quale la soluzione in una realtà, Brindisi, di certo non facile? «La soluzione, la novità dev’essere nel racconto, negli argomenti e nel modo in cui li si presenta al pubblico». Poi la Di Rocco traccia un’analisi perfetta della situazione della città, lasciando emergere la sua sagacia: «Il problema di Brindisi – dice – è legato all’identità: Brindisi non ne ha una, perché le racchiude tutte nel suo porto. La nostra identità è nel porto».
In altre parole, bisognerebbe puntare proprio sulla sua non-identità per farla ripartire. «Certo. Brindisi ha tutto, ma, ripeto, non ha un’identità. E questa può essere un’opportunità straordinaria».
Un’ultima domanda: che evento storico sceglierebbe per rappresentare al meglio la città? «Direi lo sbarco dei profughi ebrei italiani provenienti dall’Egitto, nel novembre del 1956. C’è un’iscrizione nel porticciolo, che in pochi conoscono, in ricordo dell’episodio. Tra quei profughi c’era anche una bambina, Carolina Delburgo, che, anni dopo, in un libro intitolato “Come ladri nella notte” racconta la sua esperienza. A soli dieci anni dalla Shoah, quella gente si trovava di nuovo a vagare senza una casa, in cerca di ospitalità. Tra i ricordi, quello del barista che offrì a tutti da bere e da mangiare. Nessuno si aspettava l’arrivo di quella nave, eppure Brindisi si dimostrò una città accogliente e solidale».
Questo serve ad assolvere una volta per tutte Brindisi dall’accusa ingiusta di essere una città “nostalgica”, dove il fascismo certamente ha avuto un’eco importante. «Esatto, ed è proprio questa la nostra identità: non ci si chiede perché e per come, ma si accoglie chiunque raggiunga il porto».
Sebastiano Coletta